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In qualsiasi contesto, è duro per un neofita parlare di un ambiente che conosce da poco e sicuramente non a fondo; il rischio che la maggior parte delle volte si corre è quello di descrivere il tutto secondo luoghi comuni, non riuscendo a chiarire i dubbi o le curiosità di chi magari gli ha posto qualche domanda a riguardo di qualche nuova esperienza che si trova a vivere in un contesto non congeniale. C’è poco di cultura “ufficiale” sul surf, non ci sono libri di qualche guru che offrano analisi accurate del fenomeno, ma navigando si riescono a trovare numerosi forum e siti, dove poter capire qualcosa di più del linguaggio di questo “sport” e dove è possibile, leggendo appunti di viaggio, commenti, storie e riflessioni, farsi l’idea di una comunità incredibilmente eterogenea dal punto di vista umano e altrettanto coesa nella passione per quello che definire un semplice sport è limitante.
Volendo
delineare un po’ quella che è la figura del surfista italiano, e cosa significa
surf in Italia, credo sia innanzitutto fondamentale chiarire che non è
assolutamente una moda passeggera: oramai è un fenomeno che si sta consolidando
e che in ormai vent’anni è passato da un livello decisamente pionieristico (a
sentire ora certi racconti di prime-mover sembra di sentire parlare di
preistoria), ad una situazione nella quale gli adepti aumentano sempre più,
insieme all’attenzione e agli sponsor. Le persone che si dedicano al surf in
Italia sono mosse quasi esclusivamente dalla passione; certo, come in ogni
ambiente ci sono quelli che lo fanno perché “fa figo” o per mettersi in mostra,
ma quelli che ci credono veramente sono tanti, e sono quelli che sacrificano
stipendi, rapporti umani, ferie per stare vicini a qualcosa di immenso e dal
quale una volta fattane la conoscenza è difficile stare lontani: il mare.
L’Italia non è certamente la California, non è l’Australia e non è nemmeno le
Hawaii, anzi, pur essendo terra di navigatori ed esploratori, è uno dei paesi
più sfortunati dal punto di vista della frequenza e della qualità delle onde.
Il Mare Nostrum, non potrà mai offrire quello che un oceano come l’Atlantico
può regalare a spagnoli, francesi, ma anche ad inglesi e scandinavi. Detto
questo però, è altrettanto vero che, presa coscienza di questa situazione, il
surfista italiano si carica di una passione molto forte e che “ogni cosa che
non ti ammazza, ti rafforza”: le difficoltà diventano veicolo di un sentimento
fortissimo che se riesci a controllare puoi sfruttare per resistere ai numerosi
momenti di piatta marina, per poter poi godere della prima mareggiata.
Per non
dilungarmi su temi che intendo approfondire più avanti, vorrei concludere
parlando della mia ancora limitata esperienza, che mi ha spinto a buttarmi in
questa sorta di avventura. Ho preso in mano per la prima volta una tavola da
surf alle isole Canarie, precisamente a Lanzarote. Sempre lì, sono riuscito per
la prima volta a cavalcare un’onda: è stupendo. E’ una di quelle emozioni
indescrivibili, di quelle che se ti chiedono di dirti com’è, ti tocca dire che
l’unico modo di capirlo è provarlo. Oltre a questa sorta di droga, da quella
prima esperienza nell’isola atlantica portai a casa qualcosa di decisamente
impagabile, che non sempre si riesce a portare a casa da altri viaggi: ho avuto
la fortuna di conoscere gente, ragazzi e ragazze da tutta Europa e non solo, e
di condividere con loro esperienze. Ho avuto la fortuna di riscoprire il mare,
che io, da sempre legato alla montagna non ero mai riuscito a considerare fonte
di tranquillità e benessere, abituato alle code che qui dobbiamo sorbirci per
stare in un metro quadrato di spiaggia su un mare spesso sporco e triste. Ho
potuto constatare che la forza immensa del mare che diventa motivo di unione
per persone da tutto il mondo e fonte di una grande passione.
In questo lavoro
di ricerca intendo dunque parlare di queste persone che convivono col mare, che
se ne innamorano, che imparano a rispettarlo e da Lui imparano il rispetto per
l’altro, di tutti quei viaggiatori, che, come moderni Ulisse, nuovi eroi
romantici, viaggiano alla ricerca dell’onda perfetta, alla ricerca di sé
stessi.
 BREVE STORIA DEL SURF
Non è certo quando i Polinesiani iniziarono a praticare
il surf, ma alcuni canti Hawaiani del quindicesimo secolo dimostrano che già
allora si tenevano perfino delle competizioni, durante le quali si sfidavano Re
e capi di alto rango sociale, mettendo in gioco il loro onore. Il primo europeo
che osservò e descrisse questo sport fu James Cook, che nel dicembre 1777 vide
un indigeno di Tahiti farsi trasportare da un’onda su una canoa. Nel suo diario
di bordo Cook scrisse: "Mentre osservavo quell'indigeno penetrare su una
piccola canoa le lunghe onde a largo di Matavai Point, non potevo fare a meno
di concludere che quell'uomo provasse la più sublime delle emozioni nel
sentirsi trascinare con tale velocità dal mare". L'anno successivo,
approdando ad Hawaii, Cook vide per la prima volta degli uomini scivolare
sull'acqua in piedi su delle tavole da surf; che al tempo erano lunghe circa
cinque metri e mezzo e pesanti intorno ai settanta chili.
I Re hawaiani sostenevano di essere i più
abili nella pratica del surf e cavalcare le onde sulle tavole era riservato a
loro. Le persone comuni che surfavano, usavano le canoe, ma in base alla loro
abilità e resistenza fisica, potevano godere di speciali privilegi nelle
cerchie reali, e a volte guadagnare lo status di "capi". Il surf
serviva ai Re hawaiani anche per mantenere la forma fisica richiesta per la
loro posizione sociale; avevano shapers e spiagge personali in cui surfavano
soltanto con altri della stessa classe sociale. L’importanza dello spirito del
surf subì un forte declino durante il diciannovesimo secolo, in parte perché i
missionari cristiani scoraggiarono la pratica di questo sport, ritenendolo una
distrazione nociva, ma soprattutto perché alle Hawaii nel 1819,
contemporaneamente alla fine del sistema sociale Kapu, venne interrotto il
Makahiki, una festa annuale della durata di 3 mesi (da metà ottobre a metà
gennaio) dove all'arrivo delle grandi onde invernali gli hawaiani fermavano
ogni lavoro ed altra attività ed iniziavano a vivere un periodo di grande festa
con musica, danze, canti e tornei di tutti gli sport hawaiani incluso il surf.
Tale declino continuò con le restrizioni della nuova religione, dalla stessa
attrazione degli hawaiani per le nuove culture con cui entravano in contatto,
dal sempre minor tempo libero dovuto ai nuovi sistemi lavorativi, ma soprattutto
dall'arrivo, con i colonizzatori, di malattie alle quali gli indigeni non erano
preparati, che decimarono la popolazione. Verso la fine del diciannovesimo
secolo il surf ebbe una leggera e breve ripresa durante il regno del Re
Kalakaua (1874-1891), il quale si batté per recuperare tutto ciò che
caratterizzava l'antica cultura hawaiana, incoraggiandone ogni forma
d'espressione. A questo periodo, precisamente al 1885, risale il
"battesimo" del surf sulla costa americana, dove alcuni Hawaiani che
frequentavano una scuola militare in California,si costruirono delle tavole di
sequoia e surfarono le onde alla foce del fiume San Lorenzo davanti ad un
pubblico meravigliato ed affascinato dalla loro abilità, che fece scoccare la
passione per questo sport anche sul continente.
Alla fine degli anni venti le Hawaii
iniziarono ad essere frequentate dai pochi turisti che potevano permettersi il
viaggio. In quel periodo Rabbit Kekai segnò un passo storico per il surf, inventando un nuovo stile chiamato “hot
dogging”: dopo aver imparato su pesantissime tavole di legno lunghe cinque
metri, iniziò ad usare tavole di koa lunghe poco meno di due metri, simmetriche
in nose e tail. Con quelle si riusciva ad effettuare manovre più strette e si
poteva finalmente seguire la parete dell’onda. Osservando il suo stile, il
resto dei surfisti imparò ad effettuare il bottom turn e altre manovre
agilmente.
Negli anni Trenta gente proveniente da tutte le parti del
mondo si recava a Waikiki, dove i beach boys erano diventati famosi per la
pratica del surf, della canoa hawaiana a bilanciere, e della musica. Fino ad
allora, per tanti secoli, gli Hawaiani avevano conservato il surf per loro
stessi e soltanto grazie all’avvento del turismo su quest’isola, il mondo
poteva conoscere le meraviglie ed il fascino del surf. Con gli anni quaranta e
la seconda guerra mondiale il surf subì una nuova battuta d’arresto. Con
l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra le Hawaii furono sottoposte alla
legge marziale e le spiagge hawaiane furono invase da milizie e disseminate di
filo spinato. Passati questi anni grigi venne l’epoca dorata del surf moderno,
che gli americani ricordano come i favolosi anni Cinquanta. Grazie alla
prosperità del dopoguerra ed al grande passaparola effettuato dai militari che in
qualche modo erano passati alle Hawaii, i surfisti invasero onde e spiagge come
mai prima. La prima gara internazionale di surf a Makaha, che fu vinta da
Rabbit Kekai con una tavola di balsa monopinna fatta da Matt Kivlin, si tenne
nel 1956 ed è diventata una tra le manifestazioni internazionali di surf più
importanti del mondo. Gran parte dei criteri e delle tecniche di gara del
longboard moderno trae origine proprio da questo famoso evento.
L'arte del surf ebbe un fiorente periodo
negli anni Sessanta, quando furono prodotti decine di film sul surf. Il più
famoso fu “The Endless Summer”, che generò e diffuse un’immagine molto positiva
di questo sport. Tra gli altri, “Blue Hawaii”, con Elvis Presley, “Ride the Wild Surf”,
“The Golden Breed”, “Gidget Goes Hawaiian”, “The Fantastic Plastic Machine”,
“For Those Who Think Young”, “Ride The Wild Surf”, “The Big Surf” e molti
altri. La popolarità del Surf in questo
momento in tutto il mondo era in continua espansione, così come la risonanza
che avevano i surf contest. La prima rivista stampata di surf, “Surfing
Magazine”, fu fondata proprio nel 1960. Camicette hawaiane e gruppi musicali
surf (come Beach Boys, Surfaris, Ventures, ecc.) erano molto popolari; ad
Huntington Beach, California, fu svolto il primo surf contest della storia
degli Stati Uniti e finalmente, durante gli anni Settanta, il surf veniva
considerato oltre che uno sport, uno stile di vita.
Oggi il surf è praticato in oltre 50 paesi
del mondo e da persone di ogni età e sesso. Il surf è lo sport che ha sparso
gente nei mari e negli oceani di tutto il mondo durante il XX secolo, perché
nessuna sensazione può essere paragonata a quella che si prova scivolando
sull’acqua spinti solo dal movimento di una lunga parete liquida.
IL SURF IN ITALIA
Circolano
tutt’ora molte “leggende” sugli albori del surf Italia, nonostante tutto
esistono dei dati certi e delle figure storiche che non si possono ignorare,
nonché eventi ufficiali di una certa importanza, che in questi casi aiutano a
mettere un po’ in ordine tra gli eventi sparsi nei ricordi di molti. Questa
dunque è per sommi capi una breve storia del surf in Italia.
Faceva
sicuramente molto più freddo, quando si entrava le prime volte in acqua nel
lontano 1980, perché le uniche mute che giravano erano mute da sub o windsurf
riadattate. Le tavole erano dei “pagnottoni” ingovernabili e duri come il
cemento. Non c'era nessun surf shop e al posto della Wax si usavano le candele.
Il windsurf era la moda del momento. L'unica via da seguire (per chi non
viaggiava) era il film (visto dalle 10 alle 15 volte) "Un Mercoledi Da
Leoni". La “radicalità” stava solo nel fatto di entrare comunque in acqua
e "pensare di fare surf", sicuramente il problema non era nell'”off
the lip”.
Il localismo non aveva motivo di esistere anzi,
se si incontrava qualcun'altro che si accingeva ad entrare in acqua, diventava
subito un fratello. Giravano voci di gente che faceva surf in Versilia e di
onde oceaniche in Sardegna.
Poi le prime uscite a Santa Marinella, la
nascita delle prime tribù organizzate di surfisti, i primi surf shops ed infine
l'agognata meta oceanica che per tutti era Biarritz mentre per i più facoltosi
la meta erano le "Isole" Hawaii. La prima rivista di surf ufficiale
(Surf Magazine) fu fondata, dopo vari inserti in altre riviste, nel 1992 dal
surfista Alessandro Dini. Sempre Dini, nell' 82 fondò la prima associazione di
surfisti a Viareggio: l'Italia Wave Surf Team, che fino al 1991 rappresenterà
l'Italia a gare mondiali ed europee. La "prima volta" dell'Italia in
una gara internazionale fu agli Europei in Francia (Sables D'Olone) nel 1987.
L'anno dopo, la prima volta ad un mondiale: Puertorico, maggio 1988. In squadra
c'erano anche, Giorgio Pietrangeli e Marco Romano.
Nel 1991 nasce l'ASI (Ass. Surfisti Italiani)
riunendo realtà sarde (SSA) e laziali. Nel 1997 nasce la FISURF (Federazione
Italiana Surfing), che inizia finalmente ad operare sotto l'egida del CONI. Il
primo contest in Italia fu organizzato dall'IWST a Viareggio nel 1983 e vinse
il toscano Farina. La prima gara importante fu il Campionato Europeo, tenutosi
a Forte dei Marmi nel 1985, dove vinse il leggendario Carwyn Williams.
Attualmente l'Italia e' tra le prime 20 nazioni
del mondo e nella prima classe di merito. Surfisti storici italiani sono Giorgio Pietrangeli, Luca Caponera, Andy
D'Anselmo e Maurizio Gallo, tra i primi a surfare Banzai; Pietrangeli in
particolar modo fu anche uno dei primi ad introdurre dei cambiamenti nel modo
di surfare. I fratelli Farina furono tra i pionieri del surf in toscana, insieme
ai fratelli Dini e Bertacca. I fratelli Fracas, introdussero il surf in
Liguria, mentre Maurizio Spinas, Diddo Ciani e Bobo Lutzu, sono stati i
pionieri del surf in Sardegna. Nell'area surfistica adriatica, i personaggi che
hanno cavalcato le prime onde furono Guancia alias Ludovico Baroncelli,
Maurizio Spinelli, Marco Gerbella e il Tazzari. Adesso solo nell'area di Roma,
che tra l'altro é quella che conta più surfisti d'Italia, ci sono ben 18 surf
shops, di cui 5 sono già considerati "storici", 4 surf factory che
vendono tavole anche all'estero, riscotendo un discreto successo, almeno dieci
surf club e si disputano una media di otto contest l'anno; in più adesso c'è
anche la possibilità di vedere in diretta digitale su internet la situazione
nei principali spots della costa. Certo le nostre radici di surfisti non
affondano in tempi molto remoti come quelle hawaiiane o californiane, più di
vent’anni di storia non è cosa da poco.
SOUL SURFING
Dovendo
trattare l’argomento surf in maniera comunque un po’ scolastica, la prima cosa
che viene in mente è vedere se c’è una qualche “filosofia surfistica” vigente
tra i praticanti di questo che è uno sport, ma che spesso viene vissuto con lo
spirito di abnegazione degno di una religione. Pensandoci, ci si rende conto
che non c’è una vera e propria filosofia e che ognuno vive la cosa più o meno a
modo suo. Spesso però si incontrano due parole: “soul surfing” o anche “soul
surfer”. Vedendo presa in considerazione l’anima, vien spontaneo domandarsi che
concetti spirituali stiano alla base di questa semplice espressione. Ad una
domanda, è chiaramente lecito aspettarsi una risposta, così ho chiesto a tre
surfisti cosa intendessero per soul surfing, che cosa facesse loro venire in
mente: ho ricevuto tre distinte risposte, delle quali una, per quanto mi
riguarda, riesce a riassumere tutte le altre: il primo mi ha detto: “Guarda “Un
Mercoledì da Leoni”, lì c’è tutto”, il secondo “Guarda “The Endless Summer”, lì
c’è tutto” il terzo invece “Bah, per me “soul surfing” significa bene o male
stare con gli amici, fare del bel free surf in spot dove non c’è molta gente,
una bella giornata, belle onde, niente poser e ritornare a casa contento e
soddisfatto”. Chiariamo subito le risposte dei primi due: “Un Mercoledì Da Leoni
(The Big Wednesday, di John Milius, 1978)” e “The Endless Summer” (di Bruce
Brown, del 1964) sono i due film che hanno il merito, di aver diffuso il verbo
surfistico fuori dai confini statunitensi e, per quanto riguarda l’Italia, in
particolare il primo. In ordine cronologico esce prima “The Endless Summer”,
nel ’66, e presenta la storia di due compagni, che per un’estate intera girano
il mondo alla ricerca dell’onda perfetta. In sé non c’è nulla di che, nulla di
spirituale, nessuna trama e nessuna riflessione, ma è fondamentale come
capostipite del genere dei documentari sportivi. E’ vero in ogni caso che viene
presentata pure la figura del surfista come viaggiatore, in giro per il mondo
su spiagge incontaminate alla ricerca di onde stupende mai solcate da una
tavola (in questo caso un longboard).
“Un Mercoledì
da Leoni”, del ’78, si presenta invece molto più completo, un film dove subito
a colpire sono le immagini in acqua, prime nel genere, ma soprattutto una buona
trama, che si sviluppa sull’arco di una decina d’anni. E’ la storia di tre
amici legati dal comune denominatore del mare e del surf, che dal ’62 in poi si
lasciano e si rincontrano, sempre e comunque grazie ad una mareggiata,
nonostante incomprensioni, cambiamenti, maturità, addirittura una guerra
(quella del Vietnam), si frappongano tra loro lungo gli anni. In “Mercoledì”,
emergono gli aspetti del surf legati all’amicizia inossidabile, all’importanza
degli amici e soprattutto, sullo sfondo, ma neppure tanto, il mare, che esprime
a pieno la sua funzione di catalizzatore, di elemento di coesione del quale
abbiamo accennato nell’introduzione, della
sua capacità di rendersi indispensabile nella vita di chi ha la
fortuna-sfortuna di conoscerlo. Detto questo, ecco che la risposta del terzo
surfista al quale ho chiesto chiarimenti sul “soul surfing” risulta essere
quella che meglio esprime il concetto: amici, mare, pace, tranquillità, la
voglia di muoversi e viaggiare per ritrovarsi comunque con qualcuno che anche
se sconosciuto conosce benissimo la tua passione-dannazione. Perché “…che
importanza ha di che paese sei, in acqua siamo tutti fratelli…”.
KANT E SUBLIME
Viene
spontaneo fare, dopo averne a lungo parlato, un’analisi su questa forza
catalitica esercitata dal mare, su questo elemento che non stenta ad assumere
una valenza mistica, cercare di capire da dove arrivi l’energia che si rivela
così affascinante ed inarrestabile, di fronte alla quale siamo incapaci di
resistere e che non ci lascia che la possibilità di assecondarla.
Leggendo un
po’ di report di viaggi in giro per il mondo, tra le parole che ricorrono
spesso e volentieri nella descrizione di onde, di sensazioni di fronte ad esse,
nell’esprimere la grandezza e la meraviglia di fronte ad espressioni di
imponenza e perfezione della natura e del mare che non sono altro che le onde,
c’è “sublime”. Subito vengono in mente: Kant e romanticismo. Già, pare
impossibile, ma uno dei maggiori pensatori della filosofia moderna aveva colto
quasi appieno la natura di questa energia che travolge chi si mette in testa di
assecondare la forza del mare, planando sulle sue “…bocche delle quali la
schiuma rappresenta i denti, pronti ad accoglierti o a chiudersi su di te”.
Il concetto
del sublime fa capolino nella riflessione estetica europea nella seconda metà
del ‘600, in seguito alla traduzione di un testo greco, “Trattato del Sublime”,
ad opera di Boileau. In questo caso il sublime viene definito come ciò che
conduce ad un’esaltazione senza limiti del sentimento travolgente al punto di
travolgere la ragione.
Passerà quasi
un secolo prima che il pensatore inglese Burke riprenda e rielabori il
concetto, precisamente nel 1756, quando lo definì come percezione
contemporanea del senso dell’infinito e del terrore che di fronte ad esso nasce
nell’uomo. Questo sentimento dalla duplice connotazione, nasce dalla
percezione di ciò che è oscuro e disarmonico, indeterminato, di ciò che in
sostanza, privo di limiti, dà all’uomo l’idea dell’infinito.
E’ questa le
definizione che arriva fino a Kant e che
il filosofo tedesco elabora sul finire del ‘700, e che influenzerà notevolmente
il successivo periodo romantico. Per Kant sublime è: sentimento prodotto da
ciò per cui le dimensioni sono tali da risultare incommensurabili con il
soggetto umano. Tutto quello che dunque è estraneo alla nostra scala di
dimensioni suscita il sentimento sublime.
Kant attua una
differenziazione del sublime: sublime matematico e sublime dinamico. Nel primo caso la
connotazione della vastità viene vissuta in senso spaziale, come qualcosa di
enorme rispetto all’uomo: il mare, una montagna, il cielo, mentre nel secondo,
si parla non tanto di una dimensione, quando di una forza smisurata, magari
rappresentata proprio da una potente manifestazione naturale, come può essere
il mare in tempesta o un uragano, un terremoto.
Le
sensazioni provocate dai due casi, hanno un effetto ambivalente sul soggetto
che si trova a viverle: uno di immaginazione-angoscia ed un altro
definito di ragione-esaltazione. Con l’immaginazione l’uomo avverte un
senso di angoscia dovuta alla sua piccolezza (sublime matematico) e alla sua
impotenza (sublime dinamico). Di fronte a grandezze a lui completamente
superiori, l’uomo avverte un generale senso di annichilimento, consapevole del
valore quasi nullo della sua vita. Per contro, con la percezione dei proprio
limiti, l’uomo comprende la sua caratterizzazione di essere che si distingue
dalla natura proprio per il possesso della ragione. L’inferiorità provata
dunque in un primo luogo di fronte alla natura e alle sue manifestazioni di forza,
si capovolge e si tramuta, grazie alla ragione, in una consapevolezza di
dignità e superiorità di sé stesso come essere pensante che comprende i proprio
limiti.
Questa
emancipazione si attua dunque secondo due livelli: controlla il terrore provato
di fronte al sublime matematico perché può concepire l’idea di infinito e
quindi anche la più grande realtà naturale diventa piccola nella sua mente. Dal
punto di vista del riscatto provato di fronte al sublime dinamico invece, si
riscatta comprendendo che con la ragione può dominare la natura.
Lo stato di
inferiorità fisica, viene superato grazie alla comprensione delle infinite
capacità della vita spirituale umana. Il sublime ha dunque una fase negativa,
ed una seconda positiva, nella quale il soggetto afferma la propria superiorità
in termini spirituali.
A conclusione
di questa teoria sul sublime Kant distingue tra bello e sublime: la differenza
sta nel fatto che se nel bello c’è armonia tra uomo e natura, nel sublime si
esprime chiaramente un rapporto disarmonico tra i due.
IL SURFISTA E KANT
Tornando
dunque a noi, vediamo un po’ come potrebbe inserirsi il surfista in questa
analisi effettuata da Kant. Credo sia possibile affermare che vive in una sorta
di limbo tra l’emancipazione vera e propria, ed un forte legame di riverenza
col mare. La consapevolezza del surfista, più che della propria superiorità è
consapevolezza dei propri limiti. La sfida continua tra lui e la sua tavola con
il mare, è una sfida che sa di perdere in partenza, perché se qualche volta
uscirà vincitore, questo non potrà certo accadere sempre e per sempre. La sfida
è quindi più che un affronto al mare, una sfida con se stessi, per vedere di
sondare i propri limiti, comprendere le proprie possibilità e poter dunque
vivere in pace con un’entità a lui superiore, che però, se rispettata, può
donare in cambio forti emozioni. Il surfista riesce infatti, dopo aver
identificato i propri limiti e dopo aver compreso la natura sublime di questa
entità a lui superiore, quella naturale appunto, a sposarsi con essa, raggiungendo un livello
estetico armonioso e “bello”. A voler fare un paragone, il surfista vive un
rapporto profondo col mare, come l’alpinista è legato alle sue montagne.
Rispetto, riverenza, consapevolezza piena della propria inferiorità, ma
continua necessità di fondersi con la fonte delle proprie angosce per trarne
giovamento, consapevole che potrà quietare questa forza che lo annichilisce,
traendone grande beneficio, perché no, godimento, ma mai domandola del tutto,
perché il surfista è completamente consapevole che “…non devi lottare mai con
la forza del mare, perderai sempre”.
SURF E ROMANTICISMO
Ben prima dei
surfisti però, si sono legati strettamente al sublime altri personaggi, che
hanno fatto capolino sul finire del ‘700: gli eroi romantici.
CARATTERI DELL’EROE ROMANTICO
Il personaggio
dell’eroe romantico (e del poeta romantico) è un personaggio che di volta in
volta assume sfaccettature diverse, ma che comunque può essere descritto in
maniera generale per alcuni sommi capi. Innanzitutto l’eroe romantico è un
personaggio irrequieto, una sorta di ribelle incapace di relazionarsi con una
società che pone valori che non si sente di rispettare, nei quali non si
rispecchia. C’è un fondamentale sentimento di insoddisfazione verso una società
che presenta una visione distorta della giustizia e dunque una società verso la
quale è corretto ribellarsi, anche non rispettando le leggi. Questa sensazione
di ingiustizia rende però l’uomo lacerato interiormente, consapevole di essere
impotente di fronte alle leggi, alle scelte che altri fanno per noi, o che
addirittura arrivano da entità per noi irraggiungibili, come il destino o Dio.
In questo contesto emerge la figura dell’eroe maledetto, diviso perennemente
tra bene e male, tra propensione all’assoluto sia in senso positivo, quindi
verso Dio, sia in senso profondamente negativo, quindi verso Satana. L’eroe
romantico si trova a proporre una scala di valori che si rifanno ad un’etica
eroico-cavalleresca medievale, nella quale forti sono il disprezzo per gli
aspetti materiali, il rifiuto di interessi di tipo economico, la disponibilità
a mettere a repentaglio la propria vita per un ideale. Sono dei ribelli (non
necessariamente rivoluzionari) rispetto ai codici di comportamento di una
società borghese che stava emergendo con forza, e che per loro rappresentava il
grigiore e un appiattimento dell’importanza del singolo rispetto alla totalità.
Ciò che è da
notare è come spesso al figura dell’intellettuale corrisponda quasi totalmente
a quella dei personaggi da lui descritti, personaggi propensi molto spesso al
sogno e alla fantasticheria, all’illusione come unico metodo per fuggire da una
realtà che li opprime. Sono spesso contraddistinti da un malessere interiore
indefinito, un senso di vuoto dato proprio dalla ricerca dell’assoluto, che
crea nell’uomo un vuoto incolmabile. Ciò che personalmente mi ha più colpito
dei personaggi romantici e dei loro autori è la propensione alla fuga, fisica o
psichica che essa sia, che probabilmente non è una soluzione (come non lo è il
suicidio), ma permette pur sempre all’uomo di continuare a vivere, o meglio
ancora di ricominciare a farlo e farlo soprattutto con serenità, in un contesto
dove viene valorizzata la persona, dove la dimensione artistica assume grande
importanza, e dove si possa realizzare un desiderio di pace interiore. La fuga
avviene prevalentemente con la mente, che permette di scappare in luoghi
lontani geograficamente, come quelli legati all’esotismo, o lontani nel tempo,
come il Medioevo, o ancora luoghi della mente, dove il sogno e le illusione
sono il fiato che permette di continuare a vivere, un rifugio protetto da
ingerenze esterne. A questo proposito, mi vengono in mente due autori inglesi
appartenenti alla prima generazione romantica: Coleridge e Wordsworth. Il
primo, dipendente da oppio, credeva alla forza dell’immaginazione, e tutte le
sue produzioni sono fortemente legate ad una dimensione simbolica. Il secondo
invece, credo sia da ricordare per la scelta di rifugiarsi nella sua casetta di
campagna, per trovare una pace ed un’ispirazione che altrimenti nell’emergente
città industriale non sarebbe stato in grado di trovare.
Perché
citare proprio questi due autori inglesi? Fondamentalmente l’idea di mettere in
pratica un paragone tra l’eroe romantico e il surfista si è rafforzato dopo
aver letto qualche pezzo di Stuart Butler. Stuart Butler è un surfista inglese,
londinese, che potremmo considerare normale, non un professionista insomma, che
come molti altri, ha scelto di far pubblicare i report dei propri viaggi,
racconti su surf trip in giro per il mondo. Ciò che però lo differenzia dagli
altri “scrittori” di reportage, sta nella scelta delle mete dei suoi viaggi.
Comunemente la scelta di una meta ricade, soprattutto nel caso di magazine
stranieri, su mete conosciute, straconosciute, stravisitate, dove gli sponsor
hanno interesse a far vedere il proprio sponsorizzato in azione su super-onde.
Butler invece tende a scegliere mete poco conosciute, a battere coste mai
calcate prima da un surfista, rappresentando secondo me la vera essenza
surf-trip. Tra i suoi viaggi si possono citare quelli in Colombia, in
Mozambico, o, ed è quello che più interessa a me, in Scozia. Ecco che qui si
svela l’arcano, si spiega la scelta di citare Coleridge e Wordsworth. Dal suo
report sulla Scozia, emergono molti elementi tipici del romanticismo e, in
particolare, propri dei due autori romantici. Innanzitutto un grande valore
dato alla natura su tutto e principalmente sopra l’uomo, con un conseguente grande
rispetto per la natura da parte degli abitanti del luogo. Emergono quei
simboli, quelle leggende popolari, quelle figure magiche dalle quali Coleridge
tanto ha preso, e si riesce ad avvertire una generale atmosfera di quiete, una
calma derivata dalla lontananza dai ritmi frenetici dalla città, che è
probabilmente quella nella quale si immergeva Wordsworth per ritrovare serenità
consona alla produzione letteraria, al riordinamento degli impulsi esterni di
poco precedente alla stesura di una poesia.
EROE ROMANTICO E SURFISTA
Veniamo
dunque, dopo questa breve parentesi, ad un’analisi più generale che possa
mettere in luce i punti di incontro tra l’eroe romantico ed il surfista. I
punti in comune non sono pochi, semplicemente dobbiamo spogliare la figura
dell’eroe dell’elemento tragico, della dannazione interiore, per il resto c’è
molto da condividere. Anche il surfista è fondamentalmente un incompreso (per
questi paragoni prendo quasi sempre in considerazione il surfista italiano, le
situazioni in America e Hawaii credo siano molto differenti), nessuno, tra le
persone “normali”, sembra poter capire cosa possa spingerlo a sacrificare ore
di lavoro e rapporti per correre il prima possibile in spiaggia, per andare al
mare quasi sempre quando il tempo è brutto, la spiegazione è già stata fornita
trattando la parte filosofica, e credo non siano necessari ulteriori
approfondimenti. Non è certamente un ribelle, ma appena può, cerca di scappare,
così come facevano gli eroi romantici. Si spoglia dei vestiti da lavoro, della
veste di avvocato, di libero professionista, di operaio, e se ne va, un giorno,
una settimana, un mese, a volte tutta la vita, parte in viaggio, per trovare un
po’ di respiro in un’onda, un attimo di pace che lo soddisfi e gli dia un
minimo di sollievo dopo tanta attesa. Il viaggio diventa metodo di fuga e di
ritrovamento. Fuga da una realtà circoscritta che non può capire la sua
sofferenza, e ritrovamento di una serenità che altrimenti è difficile da
raggiungere. Molto spesso appena torna da un viaggio l’idea va subito al
prossimo, si comincia ad organizzare la prossima partenza, rendendo così il
periodo di tempo che intercorre tra un trip e l’altro una continua illusione,
facendo diventare la prossima meta un luogo mentale, nel quale scappare, un
ancora di salvezza, quando il lavoro e lo studio assillano, in mare c’è piatta
e tutto pare triste e grigio. Ecco che quindi l’illusione e il sogno tanto cari
a personaggi come Leopardi, giusto per citarne uno a noi vicino, tipici di
tutta la letteratura romantica si ripresentano, fornendo al surfista un piccolo
capanno nel quale rifugiarsi.
Certo, non
tutta la dimensione surf è così idealistica, non tutti i viaggi diventano
“viaggi per l’anima”, viaggi nei quali ritrovare se stessi o ritrovarsi con gli
amici. Esistono anche in questo campo le mete “cool”, i posti dove fa “figo”
andare, esistono anche in questo ambiente le mere questioni economiche. Per
contro però, ci sono eccome quelle persone che vivono ogni giorno la loro lotta
interna con l’infinito, che fanno tutto in funzione dell’appagamento di quel
sentimento sublime di cui abbiamo parlato all’inizio e che, se non lottano fino
alla morte per un’ideale come gli eroi romantici, almeno dedicano anima e corpo
a quello che è molto più di uno sport, che è molto di più di una passione.
Se abbiamo
parlato del surfista italiano in generale come esempio di grande sognatore e
soprattutto portato al viaggio per potersi “salvare”, c’è un personaggio del
passato del surf, uno che si può tranquillamente considerare un pioniere, che
chiarifica bene i discorsi legati al sublime e al fare tutto in funzione di una
grande passione: Greg Noll.
Senza nulla
togliere ai grandi surfisti di oggi o a molti personaggi che avrebbero forse
fatto sognare per la loro anarchia molti autori romantici, credo che questo
signore americano possa tranquillamente venir considerato “storia del surf”.
Greg
Noll nasce l’11 febbraio del 1937, a San Diego. Greg è il capostipite dei
“big-wave-riders”, di quei mattacchioni, che adesso riempiono i video americani
di surf, lanciandosi da onde alte dai venti metri in su, veri e propri mostri
dalla potenza inaudita. Ora per prendere queste onde ci si fa trainare da una
moto d’acqua, su tavole costruite appositamente per l’impresa. Greg non surfò
onde di 20 venti, ma nel novembre del ’57 si permise di remare e surfare su di
un’onda che prima di quel giorno veniva considerata solo imponente,
meravigliosa e mortale. Tutto queste accadde a Waimea, Hawaii, su un’onda che
non era mai stata solcata prima da un uomo e che a tutt’oggi è appannaggio di
pochi eletti (o pochi pazzi). Vennero in seguito nel dicembre del ’64 Pipeline
e a concludere, Makaha nel dicembre del ’69. Surfata quest’onda “assassina”
come se si fosse bevuto un caffè, appese la tavola al chiodo e si diede al
produzione di tavole, lavoro che gli permise di mettere da parte un bel
gruzzoletto e godersi la vecchiaia.
Stiamo
parlando di una leggenda del surf, ma soprattutto di un esempio lampante di
come la consapevolezza della propria grandezza interiore, possa spingere l’uomo
oltre limiti prima creduti impossibili e, a discapito di un’inferiorità
esteriore marcata, finire col potersi permettere di stabilire un rapporto
profondo di grande armonia con un entità infinitamente più grande di noi. Noll
supera i limiti dell’umana concezione, nella perfetta consapevolezza dei propri
limiti di fronte ad una forza che non si può non rispettare, dimostrando dunque
una grande dignità: la dignità che sta nel comprendere che non è possibile
lanciare al mare una sfida persa in partenza, ma che ci si può a Lui accostare
con riverenza, per parificarsi, per parificare la grandezza interiore dell’uomo
a quella sublime della natura.
Noll smise di
surfare quando si rese conto di non poter più cavalcare certi mostri, comprendendo
ancora una volta quali fossero i suoi limiti, dimostrando una volta per tutte
la sua grande umanità. Come quando affermò di considerarsi semplicemente “il
ragazzo più fortunato sulla faccia della terra, semplicemente per aver avuto
l’opportunità di fare ciò che amava di più”.

SURF ART
Il surf, in
particolare in seguito alla sua espansione di massa degli anni ’60, dà un
grande valore all’immagine. Le foto dei vari spot, le grandi onde, le gesta di
grandi surfer immortalati su di una pellicola, sono stati il più grande veicolo
per la diffusione di questa cultura. Le riviste e ora più che mai i siti
internet, hanno permesso e permettono a molti di avvicinarsi a questo mondo.
Sta di fatto che la fotografia è un elemento fondamentale: una fotografia fatta
al momento giusto nel posto giusto può farti trovare uno sponsor che ti
permetta di spassartela facendo quello che più ti piace, ti può far conoscere
uno spot segreto che non immaginavi neppure potesse esistere nel più remoto dei
tuoi sogni, e via dicendo. Molti
sono dunque i fotografi specializzati, e rilevanti sono i risultati raggiunti,
sia nelle fotografie di paesaggi, che soprattutto di azioni, che alla fine sono
la situazione più difficile da immortalare. Ma non c’è solo la fotografia. Come
ogni cultura che si rispetti, il surf tocca un po’ tutte le branche del sapere: c’è di mezzo la filosofia, la letteratura, c’è di mezzo la fisica, c’è la
musica e ultima, ma non meno importante, c’è l’arte. L’”arte surf” è arte fatta
da artisti anche molto diversi tra loro, dal punto di vista generazionale, dal
punto di vista tecnico, e dal punto di vista delle singole esperienze
personali. Alcuni sono dei veri e propri surfisti, altri invece sono accostati
a questa comunità per la scelta di un particolare stile di vita, vicino alla
natura. Tutti però sono accomunati dalla scelta dello stesso soggetto: il mare,
la natura nelle sue spontanee dimostrazioni di forza ed armonia, l’uomo in
grado di accostarvisi.
Anche in
questo caso, per la conoscenza del fenomeno, devo ringraziare siti e riviste,
nei quali ho trovato interviste ed immagini che mi hanno permesso di farmi
un’idea della cosa. Elementi quali il realismo, la necessità di dare
un’interpretazione soggettiva del soggetto rappresentato, riportano alla mente
l’impressionismo, ma c’è un autore che secondo me è in questo caso più corretto
prendere in causa. Un autore giapponese, la cui opera più famosa rappresenta
proprio un onda: Hokusai Katsushika. Credo sia importante citarlo perché l’arte
giapponese fu di grande influenza sull’arte europea del diciannovesimo secolo,
e il suo eclettismo può portare alla mente l’attitudine di molti artisti surf,
che sono soliti cimentarsi con le tecniche e i materiali più disparati.
Vediamo
dunque più da vicino Hokusai e la sua opera. Questo artista giapponese nasce in
un sobborgo di Edo, l’antica Tokyo, nell’anno 1760, che allora, molto
probabilmente, con il suo milione di abitanti, rappresentava la città più
popolosa del mondo. Hokusai si trova a vivere un periodo storico molto
particolare del suo paese. La rigidissima società feudale giapponese era divisa
in cinque classi ben distinte tra loro. Alla fine di questa scala, si trovavano
i mercanti, i quali però avevano possibilità economiche che li rendevano
superiori a tutto il resto della popolazione (le altre classi erano, in ordine
decrescente di valore gerarchico quelle degli aristocratici, dei guerrieri,
degli agricoltori e degli artigiani). Questo benessere economico li portò ad
assumere quel ruolo che in Europa fu rappresentato dalla borghesia: furono una
classe fortemente dedicata dall’esaltazione dell’individuo, e soprattutto in
forte contrapposizione con gli ordini morali della società nella quale erano
loro malgrado inseriti. In questo periodo si sviluppano principalmente
letteratura e teatro, in grado di rappresentare sentimenti e passioni di questa
classe. Di grande importanza fu, durante questa fase, e soprattutto per
l’autore che stiamo prendendo in considerazione, l’importazione in Giappone
della tecnica xilografica, che permise tirature di ogni opera prima
impensabili, e quindi una possibilità di maggiore fruibilità dell’opera d’arte,
e grazie al passaggio dal bianco e nero al colore, fu in grado di assumere un
valore uguale se non superiore alla pittura.
Hokusai, tra
le altre da lui padroneggiate, fece propria questa tecnica, e l’opera d’arte
che abbiamo preso in considerazione ne è un chiaro esempio. L’artista
giapponese fu un personaggio per eclettico, e sicuramente fuori dal comune, se solo
prendiamo in considerazione i molteplici soprannomi che utilizzò per firmare le
proprie opere. Iniziò la sua carriera artistica prima all’interno delle scuole
nazionali Kano e Tosa, lavorando con il maestro Katsukawa Shunrou, ed in
seguito alla morte del maestro, si distinse per la grande propensione alla sperimentazione, continuando ad
elaborare all’infinito il proprio stile (sebbene dichiari tra l’altro di non
aver avuto abbastanza da vivere per poter concludere il proprio percorso
artistico, nonostante sia morto a 89 anni). E’ soprattutto un’artista che
dedica realmente anima e corpo alla propria passione, all’arte che diventa
unica reale ragione di vita.
Nel caso di
“La grande onda”, titolo con il quale possiamo trovare descritta l’opera, si
mette in risalto la fase della produzione artistica di Hokusai dedicata alla
pittura di paesaggio, tema molto popolare in Giappone all’epoca.
L'onda presso la
costa di Kanagawa è certamente l'opera più universalmente nota di Hokusai,
anche se alcuni studiosi sostengono che questa straordinaria xilografia
policroma non è delle più tipiche perché, risente degli influssi europei (e
forse, proprio per questa ragione, è più apprezzata anche fuori dal Giappone).
In quest'opera, che fa parte della straordinaria serie delle Trentasei vedute
del Monte Fuji (1830-1832), ci troviamo dinanzi a un'emozionante
interpretazione della realtà che sconfina persino nel paradossale e nel
grottesco. Il dato naturale lo sentiamo, ci sembra rappresentato con assoluta
verosimiglianza. Ma sappiamo anche che questa immagine è lontanissima da ogni
realismo naturalistico. Fedeltà al reale? Piuttosto fedeltà al senso profondo,
ma visibile, del reale. Un'onda vera viene trasformata dall'alchimia dell'arte,
e dello stile, in un segno indiscutibile. Nell'emblema smagliante di ogni altra
onda. Un emblema da vedere, e da ritrovare nel pensiero.
Non c'è dubbio
che per un visitatore europeo l'approccio all'arte nipponica non può che
apparire arduo e l'apprezzamento viziato quasi sempre, o da pregiudizi
culturalistici, o da vere e proprie difficoltà "percettive". In altre
parole: quella particolare resa spaziale ("a volo d'uccello"), quel
particolare effetto di "vuoto", di livellamento, quella strana
"povertà" così tipiche di buona parte dell'arte giapponese, fanno sì
che alcune peculiarità delle opere diventino eccezionali, mentre lo sono solo
rispetto alla nostra visione del mondo. Come ogni altro pittore veramente
grande, Hokusai ci mostra che vedere vuol dire conoscere. Lo stile, in lui, è
una teoria del mondo. La forma di un sapere. La figura, è un concetto
incarnato.
A voler fare
l’ennesimo collegamento, paragone, una figura di spicco nella cultura surf che
non si può non considerare parlando di arte è John Severson, personaggio che ha
legato strettamente la propria vita al surf e alla sua diffusione, dimostrando
in ambito artistico un eclettismo degno dell’appena citato Hokusai.
Nato il 12
dicembre del 1933 e cresciuto tra Pasadena e San Clemente, nel 1955 dipinge in
maniera astratta la scena di San Clemente e del suo molo, dando inizio a quella
che da qui in poi potremo chiamare surf art. Dimostra da subito una grande
capacità di destreggiarsi in diverse situazioni, e già alle scuole superiori si
occupa attivamente del giornalino scolastico. Sa utilizzare adeguatamente
svariate tecniche grafiche (le locandine dei suoi film se le disegna infatti da
solo) e dimostra di essere in grado di far progredire il proprio stile con il
passare degli anni.
Svariati
sono i motivi per i quali quest’uomo è tutt’ora ricordato dalla comunità
surfistica. Innanzitutto era un buon surfista, uno del gruppo degli amici di
Greg Noll, proprio uno di quelli che erano con lui nel ’57 a Waimea, ed è sua la foto che ritrae Greg
con in mano la tavola mentre ammira l’onda che da lì a poco surferà. Ma
soprattutto, la sua passione per i film e per l’editoria lo fanno entrare in
una sorta di olimpo del surf. Negli anni ’60 infatti produce come regista una
moltitudine di film sulla scena californiana, fra i quali, tra l’altro, “The
Big Wednesday”, dal quale qualche anno più tardi John Milius trarrà ispirazione
per il suo capolavoro cinematografico. Nel 1960 pubblica inoltre per la prima
volta Surfer, piccolo libricino di
accompagnamento al suo terzo film “Surf Fever”. Nello stesso anno pubblica un
libro di 32 pagine, a tiratura di 10000 copie, con il titolo di “The Surfer”,
prima rivista annuale di foto di surf. Da questa si passa ad un quadrimestrale,
che in breve diventerà un mensile, “Surfer” appunto, considerato tutt’ora la Bibbia
di questo sport. L’industria surf e tutto ciò che ruota attorno a questo sport
non sarebbero quello che sono oggi se non ci fosse stata l’incessante attività
di questo personaggio. Prima di Severson non c’era nessuna surf art, non
c’erano riviste di surf, non c’erano veri film di surf, non c’era alcuna
cultura surf come la conosciamo oggi. In breve, Severson ebbe il merito di far
accadere tutto ciò sintetizzando lo sport del surf nelle varie espressioni
della sua arte.
“Ho sempre sognato in grande” dice di sé, “ Ho
semplicemente avuto la fortuna di sognare ad occhi aperti i sogni più grandi”;
e a volte i sogni diventano realtà.

ONDE
Dopo tanto aver parlato di onde, credo sia opportuno cercare di
comprenderne il funzionamento. Le onde marine infatti, se per certi versi
rispondono alle regole della fisica classica, per il resto hanno un modo di
agire totalmente a sé stante.
A produrre le onde marine sono in genere tre fenomeni naturali: vento,
maree e moti sismici. Le onde che però più interessano, quelle che vengono
cavalcate dai surfisti di tutto il mondo, sono quelle create dal vento.
Le dimensioni dell’onda, quando si genera e quando poi arriva a riva,
dipendono da tre fattori fondamentali: la velocità con la quale il vento spira,
la durata della sua azione, e l’estensione di mare sulla quale il vento
esercita questa azione, il fetch.
In mare aperto il vento esercita la propria pressione sulla superficie
dell’acqua, e se è abbastanza forte, riesce a vincere la tensione superficiale
dell’acqua, creando quindi un iniziale sistema di onde. Se continua la propria
azione, magari aumentando d’intensità, il mare piatto si trasformerà in
maretta, configurandosi infine come un confuso sistema di cavalloni.
Nell’immagine
è schematizzato il sistema con il quale il vento mette in movimento la
superficie liquida. Quando il vento urta contro le particelle dell’acqua,
queste tendono ad abbassarsi, e a premere contro le particelle sottostanti,
abbassandole. Queste dunque, sono spinte lateralmente e costrette ad innalzarsi;
quando tendono a riabbassarsi, per gravità, costringono le particelle vicine ad
innalzarsi, e così di seguito, con un moto di tipo oscillatorio. Tale movimento
non comporta però spostamento orizzontale delle particelle, quindi queste
descrivono orbite circolari intorno alla loro posizione media. Tuttavia, data
la viscosità dell’acqua, questo movimento non si trasmette del tutto agli
strati inferiori: procedendo verso il basso, le orbite diventano sempre più
piccole, fino ad esaurirsi ad una profondità pari a circa la metà della
lunghezza dell’onda.
Questo tutto secondo un’analisi teorica; nella realtà è difficile che si
abbiano perfette onde di oscillazione. Se infatti il vento si rafforza spirando
nel senso di propagazione dell’onda, il profilo troicoidale viene deformato.
C’è un’accelerazione del moto delle particelle localizzate sulla cresta ed una
diminuzione del moto di quelle del ventre, la parte più depressa dell’onda; la
cresta dunque si rovescia in avanti dando origine a marosi e frangenti. Esiste
infatti un limite oltre il quale l’onda comincia a rompersi e non riesce più ad
assorbire energia dal vento; questo limite è la ripidità, il rapporto tra
l’altezza di un’onda e la sua lunghezza. Se infatti abbiamo un’onda lunga 2
metri, avrà una cresta non più grande di 30 centimetri, presentando così un
rapporto 1/7.
In mare aperto, sotto l’azione del vento, le onde si presentano come un
grande ammasso di picchi irregolari.
Esiste una tabella, la scala di Beufort, che mette in relazione forza del
vento e condizioni del mare. E’ comunque una catalogazione che si basa
sull’esperienza dell’osservatore:
Forza |
Definizione |
Effetti in mare |
Effetti in terra |
Onde |
0 |
calma
(0-1,6 Km/h) |
Il mare è liscio, onde dolci. |
Niente vento, il fumo sale verticalmente. |
- - - - - - |
1 |
bava di vento
(1,6-4,8 Km/h) |
Leggere increspature. |
Il fumo segue la direzione del vento. |
m 0,1-0-1 |
2 |
brezza leggera
(6,4-11,3 Km/h) |
Piccole onde, corte. |
Il veno accarezza il viso e solleva le
foglie. |
m 0,2-0,3 |
3 |
brezza tesa
(12,9-19,3 Km/h) |
Onde con cresta che cominciano a
rompersi. |
Le foglie sono in costante movimento. |
m 0,6-1 |
4 |
vento moderato
(20,9-29 Km/h) |
Onde con tendenza ad allungarsi. |
Il vento muove carta e polvere per
strada e i rami degli alberi. |
m 1-1,5 |
5 |
vento teso
(30,6-38,6 Km/h) |
Onde moderate che si allungano, Spruzzi. |
Il vento sposta i tronchi sottili. |
m 2-2,5 |
6 |
vento fresco
(40,2-50 Km/h) |
Cavalloni con creste bianche. |
Il vento fischia tra i fili elettrici e
gli ombrelli aperti danno problemi. |
m 3-4 |
7 |
vento forte
(51,5-62,2 Km/h) |
Cavalloni che s'ingrossano, il vento
alza la schiuma. |
Alberi mossi, problemi a camminare. |
m 4-5,5 |
8 |
burrasca
(62,8-74 Km/h) |
Onde alte, spruzzi vorticosi. |
Il vento spezza i rami degli alberi. |
m 5,5-7,5 |
9 |
burrasca forte
(75,6-86,9 Km/h) |
Onde piuttosto alte, schiuma densa. |
Il vento crea danni alle strutture
(balconi, vetri). |
m 7-10 |
10 |
tempesta
(88,5-101,4 Km/h) |
Onde molto alte. |
Alberi sradicati, grossi danni alle
strutture. |
m 9-12,5 |
11 |
tempesta violenta
(103-115,9 Km/h) |
Onde enormi, mare coperto di schiuma. |
Consigliabile non uscire. |
m 11,5-16 |
12 |
uragano
(>115,9 Km/h) |
Mare grosso pieno di spruzzi, visibilità
nulla. |
Danni estremi, tetti scoperchiati, cose
che volano. |
m 14 |
Per quanto riguarda la situazione disordinata delle onde che troviamo in
alto mare, il grafico è questo:

da
questo grafico si può chiaramente vedere che non è possibile descrivere
l’andamento delle onde con una semplice sinusoide. In ogni caso è
caratterizzato da molte onde con differenti periodi e fasi. Lo spettro
dell’energia è solitamente tracciato come densità d’energia. La densità
d’energia è data dall’ammontare dell’energia in un particolare intervallo di
frequenza: ½ (ρga2/Hz), dove ρg è il peso specifico
dell’acqua e “a” al quadrato una superficie. Per descrivere lo stato del mare,
si può dunque presentare un grafico della densità d’energia come una funzione
della frequenza:
E’ bene ora cercare di comprendere come la velocità del vento influenza
lo spettro delle onde. Innanzitutto dobbiamo dare una definizione di mare
attivo: un mare attivo si viene a trovare quando l’azione del vento è
bilanciata dalla infrangersi delle onde:
ENERGIA DEL VENTO → ONDE → LIBERAZIONE
DELL’ENERGIA DELLE ONDE
Il vento dunque per poter esercitare la propria azione sulla superficie
dell’onda, dovrà soffiare con una velocità maggiore della velocità di
propagazione “C” dell’onda, descritta da:

Quindi, per un mare attivo, più forte soffia il vento, più lungo sarà il
periodo delle onde con più energia (il picco del secondo grafico preso in
considerazione). Essendo poi: ω2 = gk, al crescere della
velocità “C”, aumenterà il periodo “T” proporzionale ad essa, diminuirà la
frequenza, più lunga sarà la lunghezza dell’onda. Le onde più energetiche
saranno meno frequenti ma avranno una lunghezza d’onda maggiore e, più lento
sarà il periodo, più a lungo la superficie
dell’onda potrà subire l’azione del vento.
Il grafico sotto riportato rappresenta bene questo andamento, mettendo in
forte risalto la differenza di quantità di energia accumulata dalle onde sotto
l’azione di un vento che soffia a 30 nodi o a 40:

In sostanza, una grande burrasca con onde gigantesche, avrà una
alternarsi di picchi piuttosto regolare, con una velocità di fase “C”
relativamente lenta rispetto al vento, e tenderà a riordinarsi con più facilità
rispetto ad un semplice mare agitato, ma avrà picchi massimi con una frequenza
più bassa rispetto ad un mare con onde di minor altezza.
C’è da precisare che un mare attivo non basta per creare delle onde che
arrivino a riva. Come detto inizialmente, ci sono altri fattori che concorrono
alla creazione di una mare più “ordinato”: fetch e durata dell’azione del
vento. I mari “giovani”, quelli con un limitato fetch o nella quale l’azione
del vento è limitata nel tempo, tenderanno ad avere picchi ad una lunghezza
d’onda più corta. In generale le onde tenderanno a crescere esponenzialmente
cosicché il mare arriverà velocemente ad una situazione di equilibrio con i
venti, che è ciò per cui è importante la scala di Beufort. In ogni caso, un
forte vento, un esteso fetch e una lunga durata dell’azione del vento, sono
necessari per la formazione di un mare attivo.
Venutosi a creare dunque un mare attivo, nel quale magari la velocità di
fase è piuttosto elevata, cominciano a formarsi dei treni ordinati di
cavalloni, che movendosi nella direzione del vento, possono arrivare a riva.
Vediamo dunque come si formano le onde a riva, quelle che più interessano
i nostri surfisti. Quando le onde veloci e lisce in mare aperto, incontrano
acqua meno profonda, il loro carattere comincia una trasformazione importante.
Nell’avvicinarsi a riva, la resistenza del fondo provoca il fenomeno della
rifrazione e uno dei suoi effetti è quello di accorciare la lunghezza
dell’onda. L’onda lunga in acqua meno profonda meno della metà della sua
lunghezza comincia a “sentire” il fondo, rallenta la sua corsa e il suo profilo
diventa più basso e appuntito; la sua altezza cresce rapidamente. Pare che il profilo critico di
una cresta sia sui 120°, ad una
pendenza maggiore l 'onda comincia la sua trasformazione in frangente. La
cresta, movendosi più rapidamente dell'acqua sottostante, cade in avanti, la forma dell'onda
crolla in modo turbolento scaricando la maggior parte della sua energia: l'onda si è rotta. L'energia che si
libera durante questa trasformazione è incredibile, noi non ce ne rendiamo
conto finché un'onda di una discreta dimensione non ci cade sulla testa.
Un'onda sui 3 metri può arrivare a sprigionare 55.000 Kg per metro lineare di cresta con una pressione d'urto tra 1.200 e 5.600 Kg/mq.
Quelli
che vengono dunque a formarsi a riva sono i frangenti. Esistono tre
forme di frangenti: montanti, a versamento e a caduta. I flutti detti montanti si producono in acqua
relativamente profonda in spiagge ripide e risalgono la battigia senza versarsi
né frangersi. Evidentemente questo tipo di onda a noi surfisti non interessano
un granché. Quelli a versamento si formano invece sopra un fondale in graduale
pendio. L'onda si innalza, l'angolo di cresta si riduce a meno di 120°, ma
l'onda libera energia molto lentamente. Questo tipo di onde hanno sempre
superfici concave sia sul fronte che sul dorso. I frangenti a caduta sono
quelli che più tipicamente rappresentano la manifestazione più dinamica ed impressionante
dell'azione dell'onda nel mare. I dorsi tondeggianti e i fronti fortemente
concavi si formano dove per una brusca diminuzione del fondale davanti all'onda
si crea una grande mancanza d'acqua che provoca delle correnti molto forti nel
cavo causate dall'acqua che precipita verso riva per riempire la cavità che si
va formando al di sotto della cresta. La massa turbinante d'acqua (il tubo)
circonda l'aria spesso imprigionandola e comprimendola fino a farla esplodere
creando il classico spruzzo di acqua e schiuma che tanto amiamo. I surfisti, ma
anche molti animali come delfini e foche, riescono a "cavalcare"
l'onda grazie alla risultante di tre forze: il peso complessivo (per es.
surfista e tavola), la galleggiabilità del mezzo (la tavola) e la spinta del
pendio (l'angolo del fronte d'onda). Quando questa spinta è superiore alla
resistenza dell'acqua la tavola e il surfista si muovo circa alla stessa
velocità dell'onda. C’è una tabella che approssimativamente calcola la velocità
di un surfista in base alla grandezza dell’onda che sta cavalcando.
Altezza onde (metri)
|
Velocità onde (km/h)
|
velocità surfer (km/h)
|
1,5
|
14
|
17
|
3
|
20
|
24
|
4,5
|
24
|
30
|
6
|
28
|
34
|
7,5
|
31
|
38
|
9
|
34
|
42
|
10,5
|
37
|
45
|
12
|
40
|
54
|
Per riuscire a scivolare sull'onda il surfista deve saper tenere la
tavola in movimento e il peso in equilibrio in modo che la spinta del pendio
fornisca forza motrice proprio quando l'onda passa sotto la tavola. Una volta
sull'onda il surfer può raggiungere una velocità perfino superiore a quella
dell'onda stessa, scivolando lateralmente attraverso il fronte.
Per concludere, c’è da rilevare che non tutte le spiagge e i fondale si
prestano alla creazione di onde adatte al surf. L'onda perfetta per essere
surfata è quella che viene rifratta in modo tale da concentrare la sua forza in
una data area, e successivamente si srotola lateralmente sopra un basso fondale
(o una secca) con un fronte estremamente concavo. Quando la sua cresta ricade
in avanti verso il cavo, può produrre formazioni simili a tubi o "barili".
Le
configurazioni locali del fondale determinano la forma finale dei frangenti
creando vari tipi di rottura d'onda. Spiagge
sabbiose relativamente dritte con un lieve pendio (per es. la Versilia)
creano un particolare tipo d'onda che rompe su secche o depositi di materiale
mobile e soggetti a spostamento. Le formazioni sottomarine come le barriere coralline o le scogliere rocciose creano frangenti
che rompono più o meno bruscamente ed in una grande varietà di forme a seconda
della forma, della profondità e della dimensione dell'ostacolo. Banzai Pipeline al largo della North
Shore di Oahu alle Hawaii è un classico esempio di frangente da scogliera; onde
lunghe formate da tempeste in pieno Oceano Pacifico che si irradiano verso N-O,
escono dall'acqua profonda colpendo la barriera corallina a più di un Km al
largo. Le onde si alzano ripide sopra la scogliera di Banzai vicino a riva con
poca perdita di energia. Onde giganti vengono spinte in alto dalla improvvisa
muraglia di corallo e di colpo nel cavo non c'è acqua sufficiente per
completare il profilo d'onda. Il fronte diventa concavo come una specie di
condotto orizzontale (da qui il nome Pipeline), la cresta diventa un labbro
d'acqua che cade in avanti a completare la forma cilindrica dell'onda. A questa
dinamica vanno aggiunti: la forma della scogliera angolata in direzione opposta
alla riva che fa sì che l'onda si srotoli a sinistra e meno spesso anche a
destra, e la direzione dominante del vento che soffia quasi sempre da terra
direttamente sul fronte dell'onda facendo diventare questi mostri marini ancora
più incavati prima di rompersi. E' impossibile concepire un'onda più perfetta
di questa!
ATTREZZATURA
Un’utile memorandum per chi si volesse avviare
alla pratica del surfing. Dopo averne spiegato gli aspetti più umanistici,
credo sia corretto cercare di comprendere un poco gli aspetti meramente
tecnici di questa disciplina, per potersi orientare un poco.
L'equipaggiamento di base del surfista può variare a seconda della zona
in cui vive, chi vive al caldo non avrà necessità di una muta, tuttavia in
Italia siamo più o meno tutti sulla stessa barca, quindi diamo per scontato che
l'equipaggiamento di base del surfista italiano sia comune a tutti.
TAVOLA
La
tavola da surf e' costituita da un'anima interna composta di schiuma
poliuretanica. Questa e' rivestita da una corazza di resina e fibra di vetro
che le conferisce rigidità e robustezza e la preserva dalle infiltrazioni
dell'acqua che danneggerebbero il pane poliuretanico. Le tavole da surf variano
di misura partendo da 1,80 metri fino a superare i 3 metri. La scelta del tipo
di tavola dipende dalle condizioni di onda che ognuno si trova a dover surfare,
oltre che, per i già esperti, dallo stile personale che ognuno sceglie di
seguire. Per il principiante che inizia il surf ed ha un peso intorno ai 75/80
Kg si consiglia una tavola di circa 2,20/2,40 metri, abbastanza voluminosa, la
cui galleggiabilità dunque gli consenta di salire in piedi abbastanza
facilmente. Scegliere bene la prima tavola e' importante in quanto evita
inutili fatiche e perdite di tempo. Non bisogna dunque farsi abbagliare dalla
facilità con cui i più esperti effettuano le manovre sulle tavole corte, ciò
richiede grande esperienza, e voler cominciare a tutti i costi con una tavoletta
non farebbe altro che allungare i tempi di apprendimento dei fondamentali del
surf.
La tabella sottostante può essere d’aiuto per scegliere la prima tavola e
cominciare a cavalcare le onde:
PESO in KG.
|
LUNGH. TAVOLA in CM.
|
45 - 50
|
185 - 190
|
50 - 55
|
190 - 195
|
55 - 65
|
195 - 205
|
65 - 75
|
205 - 220
|
75 - 90
|
220 - 240
|
90 - 100
|
240 - 270
|
|
Nella scelta di una tavola da surf occorre tenere presente
vari fattori che influiscono sulle sue prestazioni, i quali a loro volta
interagiscono a vicenda. Uno di essi e' la curvatura della tavola, o rocker.
Più questa e' accentuata più la tavola e' manovrabile, viceversa più questa e'
piatta più la tavola e' veloce nella corsa sull'onda a scapito della
manovrabilità. Un altro fattore da considerare e' la poppa della tavola: una
poppa tipo square tail (squadrata) consente manovre accentuate e radicali,
mentre una poppa round tail (tonda) si addice più ad una tavola per chi ama la
velocità. Similmente la larghezza della tavola determina prestazioni diverse: più una tavola e' larga, più e' lenta nella corsa (essendo maggiore la
superficie della tavola che entra in attrito con l'acqua), una tavola più
stretta invece sarà più veloce, dunque più adatta ad onde veloci e potente.
Attualmente diffusa e' anche la poppa swallow tail o coda di rondine abbinata
ad una tavola corta e larga. Questo tipo di tavola si adatta bene alle onde
italiane, non troppo veloci, consentendo ampia manovrabilità anche con onde
piccole. Infine i bordi non sono da sottovalutare: bordi tondi e pieni consentiranno
manovre morbide e facilmente controllabili, bordi più affilati manovre più
secche.
SHORTBOARD
E LONGBOARD

Il surf moderno trova la sua
più evidente espressione nell'utilizzo delle tavole corte (shortboard). Il
passaggio storico dall'utilizzo della tavola lunga alla tavola corta si è avuto
a cavallo tra la metà degli anni 70 ad oggi. Il passaggio di misura, ha dato
vita ad un modo rivoluzionario di fare il surf , infatti le più contenute
misure delle tavole hanno consentito uno sviluppo di uno stile più radicale ed
aggressivo rispetto all'"old style" californiano degli anni 60.
L'impegno profuso poi dagli shaper di tutto il mondo nell'elaborare nuovi
profili di tavole, unito ai test effettuati sulle tavole stesse dagli atleti
più capaci, ha trasformato quella che in origine era una attività ai limiti
dell'artigianato, in una vera e propria scienza. Le ridotte dimensioni delle
tavole short, e la conseguente minore galleggiabilità, comportano un
indissolubile legame tra utilizzabilità della tavola e dimensione dell'onda. In
giornate in cui le onde non sono particolarmente ripide o veloci, l'utilizzo di
una tavola corta si riduce notevolmente, questo perché alla base di ogni
manovra effettuabile con la tavola short, c'è la velocità e di conseguenza quando
questa si riduce notevolmente in condizione di onda piccola, tutto si complica.
Oltre alle misure, che sono evidentemente ridotte, rispetto a quelle del
longboard, la tavola corta si differenzia anche per la forma, studiata per
rendere l'asse più veloce e manovrabile. Da qualche anno si sta diffondendo
l'utilizzo in Italia di tavole cosiddette "fish" caratterizzate da un
volume maggiore, da una forma più allargata e da una conseguente maggiore
galleggiabilità, proprio per ovviare al problema delle spesso ridotte
dimensioni dell'onda.
Il longboard invece, tavola
lunga, è considerata da alcuni la quintessenza del surf. La caratteristica di
una tavola long è, come lo dice già chiaramente il nome, la dimensione. Non
esistono regole specifiche che stabiliscono se una tavola è considerabile un
longboard o no, ma grosso modo, al di là dello shape (forma della tavola), un
asse che supera gli 8 piedi rientra già a pieno titolo nella categoria
longboard. Le differenze tra il modo di scendere onde con una tavola lunga o
con una tavola corta, sono molte. Per semplificare al massimo, le
caratteristiche che contraddistinguono il longboard sono la tecnica e lo stile.
Agli occhi di un “profano” queste differenze possono sembrare impercettibili,
ma basta osservare con un po' di attenzione un onda scesa con una tavola corta
e una scesa con una lunga che le differenze saltano immediatamente all'occhio.
Per quanto riguarda la tecnica, il repertorio delle manovre è notevolmente
diverso da quello della tavola corta; per quanto riguarda lo stile, il
longboard può risultare meno spettacolare e radicale ma più fluido ed elegante.

MUTA
In Italia la muta e' necessaria quasi in ogni stagione, a
parte alcune zone. Il tessuto che compone la muta e' il neoprene che può essere
di spessore diverso. Così le mute primaverili/estive saranno di spessore
sottile compreso tra 1 e 3 mm, inoltre avranno maniche o gambe corte, mentre
quelle invernali avranno maggiore spessore fino a 5 mm per consentire di
resistere più a lungo in acqua. A seconda delle zone inoltre si renderanno
necessari eventuali calzari, guanti o cappucci in neoprene (ad esempio le zone
particolarmente fredde dell'alto Adriatico). L'evoluzione tecnologica nella
costruzione delle mute e nella ricerca di materiali e' giunta alla creazione di
mute sempre più confortevoli, in particolare rendendo le mute invernali più
comode e calde a spessori minori, consentendo maggiore libertà nei movimenti e
resistenza in acqua a basse temperature.
PARAFFINA (WAX)
La paraffina e' una cera che si spalma sulla coperta della
tavola e serve per impedire di scivolare mantenendo ben ancorati i piedi sulla
tavola. Ci sono vari tipi di paraffina, per acqua calda, tiepida o fredda.
Tuttavia lasciata al sole la paraffina si scioglie come burro, quindi fuori
dall'acqua e' consigliabile appoggiare la tavola con la carena rivolta verso
l'alto. La ricerca in questo campo ha consentito la creazione di paraffine
maggiormente rispettose dell'ambiente, che chiaramente sono consigliate per
preservare il più possibile l'ambiente circostante da materiali dannosi. In
alternativa alla paraffina si può utilizzare il GRIP. Si tratta di un tappetino
adesivo che si posiziona sulla tavola nella zona dei piedi una volta per tutte.
LEASH
Altro accessorio indispensabile e' il leash, ovvero un
laccetto in lattice che mantiene la tavola ancorata alla caviglia del surfista,
impedendo che la tavola stessa venga trascinata verso riva dalle onde in
seguita ad una caduta. Vi sono diversi tipi di leash, a seconda del tipo di
onde varia la lunghezza e lo spessore del leash da utilizzare. Più l'onda e'
grossa e potente più il leash sarà lungo e con maggior spessore per mantenere
la tavola il più lontano possibile dal surfista durante le cadute ed evitare
che il leash stesso sia tranciato dalla potenza dell'onda. In condizioni di
onde normali è sufficiente un leash intorno ai 2/2,5 metri. Nella scelta del
leash bisogna fare attenzione agli snodi, per evitare che questo si annodi, e
alla cavigliera, affinché sia confortevole e non produca abrasioni. In ogni
caso e' sempre meglio usare il leash per la sicurezza vostra ed altrui.
LYCRA
La lycra, non indispensabile, e' una T-shirt a manica corta
o lunga in tessuto elasticizzato utilizzata per evitare le scottature del sole
o le abrasioni causate dallo sfregamento del corpo sulla tavola.
REGOLE DI COMPORTAMENTO E PRECEDENZE
Le regole di comportamento e di precedenza sono fondamentali,
devono essere conosciute e osservate: rispettarle significa non solo garantire
la pacifica convivenza con gli altri surfisti ma anche salvaguardare la propria
e la loro incolumità.
Inoltre il surf si fa nel mare, quindi bisogna rispettare
innanzitutto il mare nonché l'ambiente circostante e la gente del luogo. E’
necessario rispettare i surfisti locali, essere sempre modesti, non insinuarsi
di prepotenza nel loro spot ma mantenere sempre la giusta dose di umiltà. Non
buttarsi subito sul picco. Quando si arriva in uno spot nuovo bisogna cercare
di acquisire familiarità con i surfisti locali, aspettando il proprio turno con
calma, lasciando che loro prendano le onde e capiscano che li si rispetta. Solo
in questo modo si otterrà rispetto e sicuramente si sarà ben accetti.
Se lo spot e' impegnativo e non si è abbastanza esperti è
meglio cercare un posto più tranquillo in modo da non dare fastidio ai surfisti
più bravi.
PRECEDENZE
Il surfista che parte più vicino al picco ha la precedenza.
Questa e' la regola fondamentale, dunque non si deve remare quando il surfista
in precedenza ha preso l'onda e la sta surfando. Questo significherebbe
droppare. Quindi si deve guardare sempre, prima di remare su un'onda, se dalla
parte del picco qualcuno sta gia' surfando la stessa onda. In questo caso
smetti immediatamente di remare o esci dall'onda.
Chi surfa ha la precedenza su chi rema per tornare sulla line
up. Se stai tornando fuori fai un giro largo passando lateralmente rispetto ai
surfisti ed evitando di ostacolare la corsa altrui con la tua presenza. Non
remate dritti in mezzo alla folla di surfisti e se proprio vi trovate in quella
zona e non potete farne a meno, allora passate dalla parte della schiuma, dove
l'onda ha gia' rotto lasciando la parte pulita al surfista che la cavalca.
LA SICUREZZA IN ACQUA
Prima di entrare in acqua è importante controllare che la
propria attrezzatura sia in buono stato, che il leash non si stia per rompere,
che la paraffina sia sufficiente. Scegliere inoltre uno spot non impegnativo
per iniziare e poco affollato, possibilmente un beach break.
In
acqua bisogna sempre fare attenzione a dove ci si trova: se si sta remando
fuori non stare dietro altri surfisti. Se sta effettuando il take off e davanti
c'e' qualcuno in difficoltà non bisogna prendere quell'onda rischiando di
piombargli addosso.
Si deve sempre la tavola sotto controllo, evitare che questa
se ne possa andare a destra e sinistra trascinata dall'onda, quindi tenerla
sempre ben stretta. Se si sta per essere risucchiati dall'onda non lasciare
andare la tavola solo perché sai di averla attaccata tramite il leash. Potrebbe
sbattere contro qualcuno, ed è bene ricordare che la punta della tavola è
pericolosissima e le pinne non sono da meno, potendo tagliare come lame. Allo
stesso modo se si viene centrifugati da un'onda si deve cercare sempre di
ripararsi la testa. Quando si cade non ci si deve tuffare in picchiata di
testa, il fondale potrebbe essere basso o potrebbero esserci rocce affioranti.
Se si surfa da poco è meglio stare sempre in compagnia,
soprattutto se non si è esperti del luogo e delle correnti. Inoltre non volere
mai strafare a tutti i costi quando si è all'inizio è una buona cosa, prendere
coscienza dei propri limiti e delle proprie capacità. A questo proposito
chiedere sempre informazioni sul fondale e sulle correnti o su altri pericoli
quando ci si trova a surfare in un nuovo spot.
Se
si rimane rapiti da una corrente si deve remare in maniera parallela alla riva
finchè non se ne esce, ma NON REMARE MAI CONTRO CORRENTE.

LE CAPACITA’ MOTORIE NEL SURF
Uno degli sport più completi sotto il profilo delle capacità motorie è
l’antica arte hawaiana del surf da onda.
Si può definire il surf
(letteralmente dall’inglese ”galleggiare”) uno sport e un arte in quanto
nei gesti tecnici vengono a essere fuse insieme capacità motorie ad abilità e
grazia dei movimenti sullo sfondo degli
elementi naturali e in particolare dell’acqua.
Partendo dall’analisi delle capacità coordinative che questo sport
richiede, le basi indispensabili per poterlo praticare sono l’acquisizione di
una buona tecnica natatoria e la confidenza con l’acqua detta acquaticità: entrambe queste capacità permettono non solo il saper galleggiare ma anche il
saper percorrere lunghe distanze in acqua e trattenere il respiro sotto la
superficie (apnea).
Lo
stile libero è lo stile da prediligere per l’attività natatoria in mare aperto,
sia per la maggior efficacia nello spostare acqua, soprattutto con gli arti
superiori, rispetto ad altri stili sia
per la maggior velocità con cui si riescono a percorrere lunghe
distanze, coinvolgendo la capacità aerobica e anaerobica della persona.
L’equilibrio sulla tavola da coricati, quando si rema, e quando si sta in
stazione eretta, è un’altra capacità coordinativa che va sviluppata utilizzando
esercizi di propriocettività in situazioni di instabilità come esercizi sulla
trave, sulla palla svizzera, sui materassini o sui tappeti elastici, prima con
l’appoggio di entrambe i piedi e poi solo su uno.
Un’altra capacità è quella della coordinazione, infatti il surfer per
restare in equilibrio deve continuamente
aggiustare la posizione delle braccia e alzare o abbassare il proprio
baricentro in relazione alla posizione del proprio mezzo (tavola) rispetto
all’onda. Tutto deve essere bilanciato e in perfetto equilibrio oltre che
fluido.
I movimenti devono essere elastici e flessibili ed ecco un’altra capacità
motoria fondamentale nel surf: la mobilità articolare.
Per acquisire una buona mobilità articolare sono necessari esercizi di
stretching e yoga che conferiscano ai muscoli una buona capacità di
allungamento e il minor attrito muscolare tra gruppi muscolari agonisti e
antagonisti.
STRETCHING
L'ideale sarebbe poter surfare tutti i giorni, o quasi, e in questo modo
tenersi allo stesso tempo allenati. Purtroppo le cose stanno diversamente, i
lunghi periodi di piatta affliggono non solo il morale ma anche il fisico, e
chi non ha fatto le vacanze in località surfistiche si ritrova con l'inverno
alle porte e le articolazioni arrugginite.
L'acqua si fa sempre più fredda, la resistenza in acqua diminuisce, in
questi momenti essere in formaaiuta sicuramente, permettendoci di prendere anche solo quelle due o tre onde
in più che significano tanto per i surfisti.
Gli esercizi di stretching servono ad allungare moderatamente i muscoli e
i legamenti. Le posizioni assunte vanno mantenute senza forzare in maniera
esagerata l'esercizio, in quanto non ha nessun senso stirare fino al dolore,
cosa che potrebbe avere un effetto negativo anziché benefico. Questo e' un
errore comune in quanto molti sono portati a pensare che se non si sente niente
durante l'esercizio questo sembra inefficace, di conseguenza stirano il muscolo
fino a sentire dolore, ma è una pratica sbagliata e controproducente. Qui di
seguito sono riportati alcuni esercizi di base che possono essere ripetuti
prima di entrare in acqua: dieci minuti saranno sufficienti considerando che
ogni posizione di stiramento va mantenuta per 20-30 secondi.
SPALLE
Per allungare
i muscoli delle spalle prendere con la mano sinistra il gomito destro e avvicinarlo
alla spalla sinistra, rimanendo in questa posizione per 20 secondi e mantenendo
sempre la stessa intensità di allungamento. Ripetere poi interessando il gomito
sinistro.
Ora con la mano sinistra prendere
il gomito destro sulla punta e premere come per portarlo dietro la testa
premendo il gomito verso il basso. Quando si sente la parte posteriore della
spalla in tensione, mantenere quella posizione per 20 secondi. Ripetere poi con
l'altro braccio.
COLLO
Stendersi sulla schiena incrociando le mani dietro la nuca
e portare in avanti la nuca verso lo sterno fino a sentire la tensione dietro
la nuca. Mantenere la posizione per 10 secondi, ripetendo l'esercizio per 2
volte.
GAMBE
Appoggiando
le mani al muro assumere la posizione che si assumerebbe per spingere in avanti
il muro, una gamba tesa a formare una linea dritta con bacino e schiena,
mantenendo il tallone saldamente ancorato a terra, l'altra gamba piegata a fare
da appoggio. Una volta in tensione mantenere la posizione, rimanendo immobile e
senza dondolare avanti e indietro, per 30 secondi. Ripetere con l'altra gamba.
Se
abbiamo appena descritto alcuni esercizi utili ad attivare i muscoli prima di
entrare in acqua per una session, e ricordando che sono da abbinare ad un po’
di corsa sulla spiaggia e qualche saltello per attivare la circolazione prima
di entrare in acqua, riportiamo ora alcuni esercizi
mirati per ottenere un minimo di preparazione atletica standosene tranquilli in
casa. Questi esercizi sono solo alcuni tra i tanti possibili, ma aiuteranno a
mantenersi in forma, tonici e a tenersi attivi anche durante i lunghi periodi
di inattività invernale.
E’ bene cominciare con calma ed
esercitarsi in una zona confortevole della casa quanto a spazio e temperatura,
aumentando gradualmente e regolarmente lo sforzo.
Bisogna
ricordarsi di mantenere una respirazione regolare durante gli esercizi, perché
di ossigeno hanno bisogno i nostri muscoli per sostenerci.
GAMBE
Allungamento anteriore:
Questo esercizio aiuterà a
fortificare e tonificare il fronte cosce, aumentandone anche la flessibilità.
E' utile oltretutto a migliorare il proprio senso dell' equilibrio. Prendere
una sedia piuttosto robusta e usala per bilanciarsi. Ricordare sempre di fare
l'esercizio in camera con una temperatura giusta (né troppo caldo, né troppo
freddo) e di mantenere i propri movimenti lisci e fluidi.
• Stando in piedi
diritti con i piedi uniti, mettere una mano sullo schienale della sedia
cercando di bilanciarsi.
• Con la gamba
sinistra leggermente curva, elevare l'altra gamba in avanti di fronte a sé fino
ad un'altezza che non comporti né fastidio né dolore. Cercare di tenere la
gamba il più possibile in posizione eretta, si dovrebbe poter formare un angolo
retto con l'altra.
• Mantenere
questa postura per 2-3 secondi.
• Ripiegare la
gamba indietro nella posizione iniziale.
• Ripetere
l'esercizio almeno 5 volte sforzandosi di arrivare più in alto con la gamba.
• Fare la stessa
cosa con la gamba sinistra.
Se si
trova questo esercizio piuttosto facile, aumentare il numero di ripetizioni o
cominciare a tenere la gamba in rilievo per un tempo più lungo. Se proprio si
vuole esagerare comprare una cavigliera da usare durante l'esercizio.
Allungamento
laterale:
Questo esercizio
è molto simile all'allungamento anteriore ed ha obiettivi muscolari simili.
Darà un allenamento ai lati delle cosce ed alle anche. L'allungamento laterale
richiede equilibrio, per questo si dovrà usare ancora una sedia per aiutarsi.
Ricordare ancora una volta di eseguire l'esercizio lentamente ed in modo
fluido.
• Stando in piedi
come nell'esercizio 1 appoggiarsi alla sedia con una mano per bilanciarsi.
• Non ruotare le
anche o le spalle quando si eleva la
gamba.
• Con la gamba
sinistra leggermente curva, elevare lateralmente l'altra gamba fino ad una posizione
comoda. Tenere il dito del piede in avanti e assicurarsi che il resto del corpo
non vada in avanti.
• Mantenere la
posizione per 3 secondi, poi tornare indietro alla posizione iniziale.
• Ripetere
l'esercizio per quattro volte cercando di elevare la gamba sempre più in alto.
• Fare lo stesso
con la gamba sinistra, tenendo il corpo diritto e la gamba leggermente in
tensione.
Per rendere
l'esercizio un po’ più difficile si possono aumentare le ripetizioni o, come
per l'esercizio 1, usare una cavigliera.
Allungamento
Posteriore:
E' un altro esercizio che
fortifica e tonifica le natiche, le anche e il tendine del ginocchio. Come gli
altri esercizi può aiutare anche l'equilibrio. Usare una tavola o lo schienale
di una sedia per bilanciarsi e ricordarsi di muovere lentamente e agevolmente
le gambe.
• Stando in piedi
con i piedi uniti, appoggiare una mano sulla sedia per cercare l'equilibrio.
• Per ottenere
migliori risultati cercare di tenere i glutei in tensione per tutto
l'esercizio. È più duro ma molto più efficace.
• Sollevare la
gamba destra indietro il più possibile tenendo il dito del piede in tensione.
• Mantenere la
posizione per 3-4 secondi.
• Riportare la
gamba indietro alla posizione iniziale.
• Ripetere
l'esercizio 5 volte con la gamba destra, facendo attenzione alla posizione
della schiena e ai movimenti che siano lenti e fluidi.
• Eseguire
l'intero esercizio con la gamba sinistra.
Allungamento
Polpacci:
E' un esercizio che fortifica, dà
tono e definisce i polpacci e la parte più bassa delle gambe. Al solito si può
usare una sedia per bilanciarsi durante l'esercizio. Ricordare di stare in una
zona confortevole della casa e effettuare lentamente ed agevolmente i movimenti
delle gambe.
• Stare in piedi
dietro alla sedia con entrambe le mani poggiate sullo schienale.
• Tenere le gambe
diritte e il corpo diritto.
• Lentamente
portare tutto il proprio peso sulle dita dei piedi alzando i talloni fino a
trovarsi in punta di piedi.
• Mantenere la
posizione per 3-4 secondi.
• Lentamente
abbassare i talloni fino a ritornare alla posizione iniziale.
• Ripetere
l'esercizio 5-10 volte all'inizio, aumentando gradualmente alle volte
successive senza però forzare troppo.
Allungamento
Alternato:
E' un esercizio ottimo per tonificare le natiche e le cosce, e
fortificare la parte più bassa della schiena. L'esercizio non richiede
equipaggiamento supplementare ed è semplice da fare.
• Questo
esercizio può essere fatto su una panca o su di un letto.
• Mettersi a faccia in giù
sull'orlo della panca / letto con la parte superiore del proprio corpo
appoggiata sulla superficie del letto. Sistemare le mani una sopra l'altra ed
il mento sopra ad esse.
• Le gambe devono essere diritte ed
estendersi dalla fine del letto, rimanendo dunque con le dita dei piedi sul
pavimento.
• Lentamente sollevare la tua gamba
destra portandola in linea col resto del corpo, tenendo il piede sinistro sul
pavimento. Tendere le natiche e mantenere questa posizione per 3 secondi.
Lentamente abbassare la gamba fino a tornare nella posizione iniziale.
• Ripetere l'esercizio con la gamba
sinistra, tenendo la gamba destra nella posizione iniziale. Concentrarsi
affinché tutti i movimenti siano lenti e fluidi.
• Ripetere l'esercizio con entrambe
le gambe quattro o più volte. Quando l'esercizio diverrà più facile si possono
aumentare il numero di ripetizioni
Affondo:
Come
molti altri esercizi per le gambe, l'affondo aiuta a tonificare le gambe e le
natiche. È un esercizio molto versatile perché si può mantenere la posizione
dell'affondo aumentandone gradualmente il tempo dando realmente alle gambe ed
ai muscoli della natica un ottimo allenamento. Usare lo schienale di una sedia
o una tavola per aiutarsi.
• In tutto
l'affondo assicurarsi di tenere il corpo diritto.
• Stando in piedi
con le gambe leggermente aperte, mettere il piede destro in avanti ed il piede
sinistro fermo nella posizione iniziale, tenendo le mani sullo schienale della
sedia per l'equilibrio.
• Portare il peso
in avanti sulla gamba anteriore, curvando leggermente le ginocchia ed alzando
un poco la caviglia della gamba posteriore dal pavimento.
• Quando si sente
di essere arrivati ad una posizione comoda, mantenerla per 5/6 secondi.
• Lentamente
raddrizzare le gambe e tornare alla posizione iniziale.
• Ripetere
l'affondo per altre 4 volte con la gamba destra, poi ripetere l'esercizio col
piede sinistro in avanti.
Col
tempo si aumenterà la potenza delle cosce e quindi si potranno effettuare gli
affondi aumentandone il tempo di flessione.
ADDOMINALI
Gli
esercizi addominali possono fare la differenza anche dal punto di vista
estetico, ma si deve stare attenti al tipo di esercizi che si fanno. I muscoli
addominali non sono realmente separati e come tali non si possono isolare in un
singolo esercizio addominale ma si effettueranno esercizi che interesseranno la
regione addominale intera. Alcuni esercizi baderanno più a sviluppare il
muscolo addominale superiore e altri l'inferiore. Sarà compito di ognuno
focalizzare l'attenzione sulla parte addominale superiore, muovendo solo il
busto, o quella inferiore muovendo la zona pelvica.
Se
non sono stati fatti di recente esercizi per gli addominali, si dovrebbe
cominciare con alcuni esercizi più facili di riscaldamento. Questi prepareranno
agli esercizi più intensi. Se si avverte in ogni caso un qualsiasi disagio
durante questi esercizi addominali è bene fermarsi subito.
Addominali
inferiori:
• Sedersi con le
mani, palmi in basso, sotto il sedere.
• Alzare le gambe
a circa 20 centimetri dal pavimento e
mantenere la posizione.
• Assicurarsi che
la base della spina dorsale sia pigiata contro il pavimento (questo garantirà
una posizione corretta).
• Adesso provare
ad usare solo il muscolo addominale più basso, inclinare la zona pelvica ed
elevare le gambe ancora di 15/20 cm.
• Mantenere la
posizione per alcuni secondi e poi tornare alla posizione iniziale.
Srotolamento
inverso:
• Sdraiarsii con
la schiena ben distesa sul pavimento.
• Aiutandosi
soprattutto col basso ventre, tirare su le gambe lentamente fino a portare le
ginocchia sopra il torace.
• Lentamente
tornare alla posizione iniziale e ripetere lo srotolamento per 4/5 volte.
Addominali
superiori - Srotolamento incrociato:
• Sdraiarsi con
la schiena ben distesa sul pavimento.
• Tentare di
portare diagonalmente ciascuna spalla verso l'anca opposta alternativamente.
• Alla posizione
finale una spalla e l'anca opposta dovrebbero trovarsi sollevati da terra.
• Assicurarsi
che ogni srotolamento sia fatto lentamente per ottenere il massimo beneficio.
EQUILIBRIO
Contrariamente
a quanto si pensa, l'equilibrio si può migliorare. Ecco due buoni esercizi
adatti proprio a migliorare la nostra capacità di mantenere l'equilibrio anche
in situazioni impegnative come spesso si debbono affrontare nel surf.
• Appoggiarsi
allo schienale di una sedia robusta.
• Alzare un
piede verso l'alto e tenerlo alto cercando di non perdere l'equilibrio.
• Quando ci si sente pronti
lasciare la sedia e tentare di bilanciarsi senza aiuto. Se si perde
l'equilibrio allungare una mano, agganciare la sedia e ricominciare.
• Provare finché
non si riesce a stare in equilibrio senza appoggio per un po’ di tempo, oppure
finché non ci si sente perfettamente a proprio agio su di una gamba sola.
A questo punto si possono apportare all'esercizio delle modifiche che
aiuteranno ulteriormente a migliorare e a capire come ottenere un equilibrio
duraturo ed efficace:
• Alzare un
piede lentamente finché non è a circa 10cm dal pavimento.
• Lentamente e
con attenzione piegarsi in avanti fino al punto in cui si sarà costretti ad
appoggiare a terra il piede che si era sollevato. Quando questo tocca terra
spingere indietro l'altro piede fino a che la gamba non è perfettamente
diritta. Le prime volte non è facile riuscirci, dunque è meglio avere nelle
vicinanze la solita sedia.
• Continuare ad
piegarsi in avanti e ad estendere la gamba posteriore indietro.
• Tornare alla
posizione iniziale con i piedi uniti sul pavimento.

GLOSSARIO
Molti
termini surfistici sono mutuati dall'inglese, così si rende necessario
conoscerne il significato, soprattutto nel caso in cui si viaggi spesso per
surfare. Ciò servirà per capire ed essere capiti ovunque si vada.
A
AERIAL: termine riferito ad ogni manovra con cui il surfer letteralmente decolla
insieme alla tavola, staccandosi dall'onda per poi rientrarvi al termine della
manovra stessa.
AERIAL
360: rotazione aerea di 360 gradi.
A-FRAME: termine riferito a quell'onda che rompe producendo un picco centrale e
consentendo di essere surfata sia a destra che a sinistra.
ALOHA: tipico saluto hawaiiano, equivalente al nostro salve o ciao.
ASP: sta per Association of Surfing Professionals = Associazione dei Surfisti
Professionisti, nata nel 1982, (www.aspworld.com).
AUSSIE: significa Australiano ed e' il soprannome con cui vengono indicati i surfisti
Australiani
B
BACK: in inglese significa "DIETRO" e sta ad indicate la schiena dell'onda.
BACKSIDE: si dice quando si surfa dando le spalle all'onda, in questo caso si associa ai
nomi delle manovre eseguite in questa posizione (es. cut back in backside).
BARREL: termine usato per indicare onde dalla forma perfetta.
BEACH
BREAK: quando le onde rompono su fondale sabbioso, quello e' un Beach Break.
BIG
WAVE RIDER: è il surfer dedito a surfare onde gigantesche, e per cui e'
divenuto famoso.
BLANK: è il pane di schiuma poliuretanica che, una volta modellato, costituisce
l'anima della tavola da surf. Successivamente viene rivestito di resina e fibra
di vetro o altro tessuto.
BLUE
ROOM: la stanza blu, termine riferito a un bel tubone di colore blu.
BODYBOARD: è quella tavola corta, costruita con una particolare schiuma plastica e
resistente, utilizzata per surfare stando sdraiati sulla pancia.
BODYSURFING: consiste nel surfare le onde utilizzando come mezzo esclusivamente il proprio
corpo.
BOTTOM: letteralmente significa "parte bassa" e sta ad indicare il sotto
della tavola o la base dell'onda.
BOTTOM
TURN: manovra consistente nella curva fatta alla base dell'onda,
successivamente alla partenza, per poi successivamente risalire verso il lip o
sulla faccia pulita dell'onda.
BREAK
POINT: e' il punto dove rompono le onde.
C
CHANNEL: è il canale o corridoio che si forma tra i frangenti a causa del fondale più
profondo rispetto al punto dove rompono le onde. In questo canale le onde non
rompono e viene dunque utilizzato per tornare più facilmente verso la zona dove
si aspetta l'onda.
CHANNELS: riferito alla tavola per indicare delle scanalature nella carena. I channels
consentono un migliore scorrimento dell'acqua verso poppa conferendo maggior
velocità alla tavola.
CLASSIC: Riferito ad una giornata di surf indica la perfezione delle condizioni.
Riferito ad una tavola da surf, nella specie ad una longboard, indica il tipo
di forma (shape) della tavola e le sue linee mutuate da quelle degli anni
50/60, e che consento una surfata rilassata, morbida ed elegante.
CLOSE
OUT: Si dice dell'onda che rompe tutta in una volta senza consentire la surfata
in alcuna direzione.
CORAL
REEF: fondale caratterizzato dalla presenza di coralli. Solitamente permette il
generarsi di onde perfette, ma cadere sopra i coralli può procurare lesioni
pericolose ed infezioni gravi.
CUT
BACK: manovra consistente in una curva a "S" che permette al surfista
di tornare "indietro" verso la parte dell'onda che spinge per riprendere
velocità.
D
DECK: e' la coperta o parte superiore della tavola da surf (opposto del bottom).
DING: crepa o buco del rivestimento della tavola da surf. Se non riparato in tempo
l'acqua entra all'interno di essa rovinando il pane di schiuma poliuretanica
(blank).
DOUBLE
RIDING: si dice quando si surfa in due sulla stessa onda o sulla stessa tavola.
DOUBLE
OVER HEAD: si dice delle onde quando sono alte due volte rispetto all'altezza
del surfer.
DROP: discesa lungo la faccia dell'onda verso la base (successivo al take off).
DROP
IN (DROPPARE): significa rubare l'onda, iniziando la corsa quando già un
surfista la sta surfando in precedenza.
DUCK
DIVE: manovra che consente di superare i frangenti imitando il movimento delle
anatre.
E
EPOXY: tipo di resina, appunto epossidica, utilizzata nel rivestimento di tavole da
surf. Più elastica della resina poliestere, e dunque più resistente
(consentendo maggiori sollecitazioni) ma molto più costosa.
F
FACE: faccia pulita dell'onda, dove ancora questa non ha schiumato.
FIN: pinna applicata alla carena delle tavole da surf. Serve a dare stabilità e
manovrabilità alla tavola stessa. Può essere resinata direttamente su di essa,
oppure estraibile in base al sistema scelto.
FCS
o O'FISHL: ogni tavola può montare una (single fin), due (twin fin), tre
(thruster), quattro o addirittura cinque pinne
FLAT: mare piatto, condizione frequente in Italia.
FLOATER: quando surfando l'onda una sezione di questa ci rompe davanti, il floater e' la
manovra che ci consente di superare la schiuma passando, anziché davanti ad
essa, sul dorso dell'onda fino a raggiungere nuovamente la faccia pulita
dell'onda.
FOAM: significa letteralmente "schiuma". Può indicare la schiuma dell'onda
o la schiuma poliuretanica che costituisce l'anima della tavola.
FREE
FALL: caduta libera. Si verifica quando le pinne della tavola non mordono la
parete dell'onda (quando il cavo di essa e' particolarmente accentuato e l'onda
ripida) facendo scivolare il surfista giù per il cavo dell'onda come in una
situazione di scarroccio. Se giunto alla base dell'onda le pinne affonderanno
nuovamente nell'acqua la corsa riprende. Tuttavia la caduta libera determina
spesso una situazione di squilibrio terminando in una brutta caduta (o wipe
out).
FRONT
SIDE: surfare con la faccia rivolta verso l'onda (contrario di backside).
G
GLASSY: letteralmente "vetroso". Si dice quando l'onda e' tanto liscia da
generare riflessi come se fosse di vetro. Si verifica in assenza di vento.
GNARLY: letteralmente "nodoso". Si dice quando l'onda e' grossa, potente, e
solo a guardarla da una impressione di violenza.
GOOFY
FOOT: si usa per indicare il surfista che tiene il piede sinistro a poppa
GRAB
RAIL: manovra che consente di evitare di essere spazzati via dall'onda quando
il labbro di essa sta chiudendoci addosso. Consiste nel piegarsi ed afferrare
con la mano il bordo esterno della tavola.
GRIP: materiale applicato sulla coperta della tavola al posto della paraffina per non
scivolare consentendo una maggiore presa del piede.
GREEN ROOM: come blue room, ma verde.
GROMMET: termine con cui si indicano i giovani surfisti.
GUN: tipo di tavola lunga e affilata costruita appositamente per surfare onde molto
grandi e potenti.
H
HANG
FIVE: manovra tipica del longboarder, consiste nel surfare tenendo un piede
sull'estrema prua della tavola, tanto da avvolgerne il bordo con le dita.
HANG
TEN: come Hang Five ma con entrambi i piedi.
HEAT: e' la batteria nelle gare di surf, il periodo di tempo durante il quale i
surfisti competono tra loro all'interno della gara.
HEAVY: letteralmente "arduo". Si dice quando le condizioni sono
particolarmente impegnative.
HIGH
TIDE: alta marea.
HOLLOW: si dice di un'onda potente, veloce e tubante.
HUGE: letteralmente "mostruoso". Riferito all'onda.
I
IMPACT
ZONE: la zona di impatto, dove frangono le onde.
INSIDE: è la zona fra la schiuma delle onde e la riva. Oppure, riferito all'onda,
indica la zona sottostante il labbro dell'onda o interna ad esso.
INTERFERENCE
(INTERFERENZA) : è la penalita' che spetta al surfista durante una gara quando,
non rispettando le regole di precedenza sull'onda, rovina la corsa altrui.
K
KICK: termine solitamente utilizzato per indicare la curvatura della poppa.
KICK
OUT: manovra repentina per lasciare l'onda.
KNEEBOARD: tipo di tavola corta usata per surfare stando in ginocchio.
KOOK: termine spregiativo con cui vengono spesso indicati i principianti.
L
LATE
TAKE OFF: partenza ritardata sull'onda, quando cioè questa ha già cominciato a
chiudere.
LEASH: laccetto che tiene la tavola ancorata al surfista ed impedisce che questa sia
portata via dall'onda durante una caduta.
LINE
UP: linea ideale lungo la quale si dispongono i surfisti aspettando l'onda.
LIP: labbro dell'onda.
LOCAL: colui che vive in una determinata zona surfistica e che vi surfa abitualmente.
LOCALISM
(LOCALISMO): comportamento tenuto dai locals e consistente nell'impedire che
gli "stranieri" surfino le "loro" onde. Il localismo si
manifesta in molteplici modi, dalle urla agli insulti, ai danni alle
autovetture degli stranieri, fino a sfociare in litigi e risse.
LONGBOARD: termine con cui si indicano le tavole lunghe dai 9 piedi in poi.
LOW
TIDE: bassa marea.
M
MUSHY: indica onde deboli e piatte.
N
NATURAL
FOOT: indica il surfista che tiene il piede destro a poppa (detto anche REGULAR).
NOSE: la prua della tavola.
NOSE
GUARD: accessorio in silicone applicato sulla punta delle tavole da surf come
protezione.
NOSE
RIDING: surfare l'onda rimanendo posizionati sul nose della tavola (tipico del
longboard).
O
OFF
THE LIP: manovra che consiste nel risalire l'onda in maniera verticale fino al
lip per poi roteare bruscamente tornando verso la faccia dell'onda.
OFF
SHORE: indica la direzione del vento proveniente da terra verso il mare.
ON
SHORE: quando il vento proviene da mare verso terra.
OVER
THE FALL: si dice quando si viene catturati dal lip, sollevati e
successivamente sbattuti sul fondale.
OVER
HEAD: si dice quando le onde superano in altezza il surfista di circa un metro.
P
PADDLING: remare stando sdraiati sulla tavola.
PARAFFINA: cera che si distribuisce sulla coperta della tavola da surf per non scivolare
PEAK
(PICCO): è la parte piu' alta dell'onda.
PIER: pontile.
PIN
TAIL: tipo di poppa della tavola molto stretta, quasi appuntita. Utilizzata
negli shape di tavole per onde grosse.
POINT
BREAK: si dice del luogo dove l'onda rompe progressivamente roteando attorno ad
un punto (es. una punta di roccia) e consentendo la surfata solo da una parte,
destra o sinistra.
Q
QUIVER: set di tavole, di cui una per ogni condizione.
R
RAIL: bordo della tavola.
REEF
BREAK: luogo dove le onde rompono caratterizzato da fondale roccioso o
corallino.
RE
ENTRY: manovra in prossimità del lip dell'onda consistente nel scivolare sulla
cresta in procinto di frangere per poi ricadere sulla faccia pulita dell'onda,
rientrare su di essa.
REGULAR FOOT: vedi NATURAL FOOT.
REVERSE: si dice delle manovre quando sono fatte mantenendo la poppa avanti.
RIP: forte corrente.
ROCKER: è la curva della tavola che va da poppa a prua.
ROUND
TAIL: si dice della poppa della tavola quando e' tondeggiante.
S
SECRET
SPOT: luogo per surfare le cui coordinate sono mantenute segrete da coloro che
già lo conoscono.
SECTION
(SEZIONE): parte dell'onda che ha la massima energia e che consente al surfista
di proiettarsi con più potenza nell'esecuzione delle manovre.
SERIE: vedi SET.
SESSION: lasso di tempo lungo il quale si rimane in acqua a fare surf.
SET: serie di più onde che arriva ad intervalli regolari.
SHAPE: indica sia la forma dell'onda che la forma della tavola.
SHAPER: colui che modella la schiuma poliuretanica nella costruzione della tavola.
SHORE BREAK: risacca.
SHORTBOARD: indica le tavole corte fino a 7 piedi.
SHORTY: muta a gamba corta e mezze maniche.
SHOULDER
HEAD: si dice delle onde quando la loro altezza corrisponde alla spalla del
surfer.
SINGLE
FIN: tavola ad una pinna.
SLASH: cut Back molto radicale e accentuato.
SOLID: termine che sottolinea la potenza dell'onda.
SPOT: luogo per surfare.
SQUARE
TAIL: poppa quadrata.
SQUASH
TAIL: poppa a metà tra la SQUARE e la ROUND TAIL.
STOKED: eccitato, gasato.
SWALLOW
TAIL: poppa a coda di rondine.
SWELL: mareggiata.
T
TAIL: poppa (gli ultimi 30 cm della tavola).
TAKE
OFF: partenza, consente di iniziare la corsa sull'onda.
THREE
SIXTY: rotazione di 360 gradi sull'onda.
THRUSTER: indica la tavola a tre pinne, con prua stretta, poppa quadrata e larghezza
massima vicina al centro, inventata nel 1981 dall'australiano Simon Anderson.
TUBE: galleria formata dall'onda.
TUBE
RIDING: surfare il tubo, ovvero infilarsi nel tubo ed uscirne.
W
WAX: paraffina (vedi PARAFFINA).
WIPE
OUT: caduta dall'onda in fase di take off o durante la surfata.
AFORISMI
“Surfing is not a question of life or death, it’s over
them”
“Surfing is better than sex, but don’t tell it to your
girl”
“Non
lottare mai con la forza del mare, perderai sempre”
“No matter where I am in the world, when I am in the
ocean, I fell like home”
“Il
mare è un immense trampolino, noi surfisti ne siamo i giocolieri”
“Seven days without surf make one weak”
“BIBLIOGRAFIA”
Rigorosamente in ordine sparso:
www.surfcorner.it
www.sullacresta.it
www.toesover.it
www.surferart.com
www.surfart.com
www.surfline.com
www.riskypoint.com
www.duckdive.net
www.surfguide.it
www.surftribe.it
www.revolt.it
www.surfnews.com
www.surftolive.com
Un particolare ringraziamento a (rigorosamente
in ordine alfabetico):
Matteo “Matt” Antonini
(www.coolboards.it)
Paolo Della Capanna (www.surfreport.it)
Luciano Cardone
(www.surfcamp.it)
Davide Magnanini
(“Axis Of Surfing” digilander.libero.it/ilMagna/home.html)
Prof. Gianmaria
Marchiori
Andrea Rossolini
(Personal Trainer I.S.S.A.)
Inoltre a tutte le persone che nell’ultimo anno
hanno dimostrato grande disponibilità verso uno che come me si sta avvicinando
ad una nuova realtà, alla “comunità surfistica” veneta, a Guido Dotti che come
me ha scelto di cimentarsi con questa scommessa di “tesina surfistica”, e
infine a chi ha condiviso con me la prima volta in acqua su una tavola, e a chi
spero lo farà presto.
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